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I cardellini, quasi sempre, muoiono
Pur non essendoci sempre il problema della gabbia, e
indipendentemente dall'uso del tortomalio, gli esiti però sono spesso
gli stessi. I cardellini, insomma, muoiono molto come tutti, d'altra
parte, ma colpisce che si parli forse più delle loro morti che del
loro piumaggio o del loro canto.
Sono diverse le ragioni di queste morti, ma sempre in qualche modo
collegate a qualcosa di forte, di significativo, come l'affermazione
di una esistenza o un suo mutamento consistente. E se è ovvio che a
giustificare questo dato ci siano principalmente o esclusivamente
delle ragioni narrative è altrettanto inequivocabile che la
corrispondenza c'è.
È un cardellino che muore in uno dei racconti di Bestie di
Federigo Tozzi:
«Ecco la sera, quando le cose della stanza doventano pugnali che
affondano nella mia anima: maniache che mi attendono.
Qualche altra volta, mi erano sembrate libri, tavoli, sedie,
tagliacarte, cuscini, lampade, pareti poemi immensi. Mai, in nessun
modo, sono riescito ad essere indipendente dinanzi a loro.
Ma questa sera hanno atteso tutte d'accordo.
Siete sicure di essere sincere? Ormai io vi lascio.
La mia anima, se qualche volta si ricorderà di voi, crederà di
mettersi a suonare un organetto di Barberia per fare ridere le serve e
piangere chi non c'è.
Il cardellino morirà di fame: il pane intinto non glielo darà più
nessuno.»
Ed è un cardellino anche quello che compare e muore nella seconda
poesia della sezione L'usignolo de L'usignolo della Chiesa
cattolica di Pier Paolo Pasolini:
«FANCIULLO Mi chiamo Nisiuti. Vado a nidi per i campi.
CARDELLINO Che sicuro, che lontano, nei campi... nei campi...
FANCIULLO Vado fischiettando con le mani in tasca.
CARDELLINO Solo nel cielo aspetto il fanciullo.
FANCIULLO Mi siedo sulle viole e suono il mio zufoletto.
CARDELLINO Suona, e io lo guardo piegando il capo.
FANCIULLO Su, fionda, all'erta, sento qualcosa sul prato.
CARDELLINO Ne ho visti sì, ne ho visti fanciulli morire.
FANCIULLO Morire? Ah vecchio cardellino cadi morto sul prato.»
E nella bellissima "preghiera" Davide sempre ne L'usignolo
della Chiesa Cattolica del bambino morto si dice:
«Pace ti diano i rossi canti della chiesa, povero chierichetto.
Quanti uomini e lumi ardono per questo piccolo corpo, adesso che il
suo viso non può più brillare di vergogna!
Nessuno lo guardava quando, al vespro, faceva echeggiare i secchi
del latte o, di sera, spariva per i prati con i compagni e il sacco
del trifoglio.
Pace in mezzo a voi Dio ha dato a questo morticino.
(...)
Ricordatevi, adesso, che era un povero chierichetto: una primula
con voce di cardellino!»
In una delle Novelle per un anno di Luigi Pirandello, Il
gatto, un cardellino e le stelle, ci sono
«due vecchi nonni che avevano un cardellino» e «tutti e due lo
amavano tanto perché era stato il cardellino della nipotina morta, la
quale lo aveva così bene ammaestrato; a venir su la palla, a
bezzicare così l'orecchia, a svolare per casa fuori della gabbia.
(...) Erano rimasti soli, loro due vecchi soli con quell'orfanella
cresciuta da piccola in casa, che doveva esser la gioja della loro
vecchiaia; e invece, a quindici anni... Ma era rimasto vivo di lei
trilli e ali il ricordo, in quel cardellino. (...) sì, era una cosa
viva di lei; viva, viva ancora, e che aveva ancora bisogno delle loro
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cure, dello stesso amore che avevano avuto per lei».
Bisognerebbe leggerla tutta la novella di Pirandello. Ma non voglio
privare nessuno del piacere di farlo per proprio conto, e così mi
limiterò a rilevare la presenza, sul davanzale della casa di fronte,
di un «magnifico gattone bianco soriano», che si crogiola al sole e
del quale era davvero troppo pretendere che «sapesse che quel
cardellino lì era tutta la vita di quei due poveri nonni perché era
stato della nipotina morta». E infatti il gatto, «un giorno, se lo
mangiò». Quel che seguì fu semplicemente la rovina in due case,
perché il nonno prese il fucile e corse alla casa di fronte per
ammazzare il gatto, e il figlio della vicina si armò a sua volta e
sparò sul vecchio, lasciandolo nel darsi alla fuga per le campagne
morente.
Nei Testi letterari di Pablo Picasso si sentono «colpi di
cardellini che muoiono» e «la persiana sbattuta dal vento / uccide i
cardellini in volo / li manda a urtare e a macchiare di sangue».
Invece in una poesia di Guido Gozzano, La morte del cardellino,
ad essere addolorato per quella morte è un bambino:
«Chi pur ieri cantava, tutto spocchia,
e saltellava, caro a Tita, è morto.
Tita singhiozza forte in mezzo all'orto
e gli risponde il grillo e la ranocchia.
La nonna s'alza e lascia la conocchia
per consolare il nipotino smorto:
invano! Tita, che non sa conforto,
guarda la salma sulle sue ginocchia.
Poi, con le mani, nella zolla rossa
scava il sepolcro piccolo, tra un nimbo
d'asfodeli di menta e lupinella.
Ben io vorrei sentire sulla fossa
della mia pace il pianto di quel bimbo.
Piccolo morto, la tua morte è bella!»
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Come tenere un cardellino in mano
Non tutti i cardellini, naturalmente, hanno la stessa reazione
toccando i bambini. Questione di indole, ma anche di ceto sociale.
Guardiamo per esempio quello di Raffaello, che si lascia
tranquillamente sfiorare il capo...
Raffaello (1483-1520), Madonna del cardellino (1507), tempera
su tavola cm 107x77, Firenze, Galleria degli Uffizi
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Altri modi di tenere un cardellino
Giovan Filippo Criscuolo, Madonna con il Bambino e San
Giovannino, tavola, già New York, vendita Sotheby's
Maestro del cespo di garofano (attivo a Verona, seconda metà del XV
secolo), Madonna col Bambino, tavola, già Foledo (Ohio, Usa)
Art Museum
Maestro della Madonna della Banca Popolare di Verona ( attivo a
Verona c. 1420-30), Madonna col Bambino, tavola, Verona,
Banca Popolare
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Lorenzo Lotto, Pala di Santa Cristina del Tiveron (
1504-1505) tavola Quinto (Treviso), Chiesa parrocchiale
Marco Basaiti (c. 1470-75 - dopo il 1530), Sacra Conversazione,
tavola, Bergamo, Accademia Carrara
Giovanni Battista da Udine (attivo 1493-1508), Madonna col
Bambino e due santi (1498), tavola, Venezia, Museo Correr
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Domenico Morone (c. 1442 - dopo il 1518), Madonna col Bambino,
tavola, Verona, Banca Popolare
Francesco Morone ( c. 1471 - 1529), Madonna col Bambino e i santi
Zeno e Nicola, tavola, Milano, Pinacoteca di Brera
Gentile e Giovanni Bellini (c. 1432 - 1507/ c. 1435 - 1516), Madonna
col Bambino, i santi Cristoforo e Giovanni Battista e il doge
Giovanni Mocenigo (1479), tela, Londra, National Gallery
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Altre storie di cardellini
Nel poema di Farid ad-din 'Attar, un poeta mistico persiano vissuto
tra il 1100 e il 1200, Il verbo degli uccelli, al cardellino
viene rivolto un saluto che ne sottolinea la vitalità gioiosa e ne
evidenzia una particolare vicinanza alla verità, alla perfezione, a
Dio:
«Benvenuto, o cardellino, vieni con gioia, sii ardente
nell'azione, guizza come fuoco, brucia ogni cosa a te vicina e
distogli gli occhi dell'anima dalle meraviglie del creato! E quando
avrai reso cenere tutto ciò che possiedi, la luce della verità
scenderà su di te, ogni istante più chiara. Il tuo cuore conobbe i
segreti della verità; intraprendi senza indugio la ricerca di Dio! E
quando nella tua ricerca avrai raggiunto le vette della perfezione,
cesserai di esistere, e allora esisterà solo Dio.»
Una responsabilità notevole, per quello che Anna Maria Ortese
definisce «uccello ingenuo e comunissimo», attribuendogli però nel Cardillo
addolorato la funzione di «regolatore angelico di scelte e
destini», e al quale «spesso, qualche volta al mattino, e certe sere
dei lunghi inverni» non ci si può rivolgere che con una preghiera
accorata:
«Cardillo, non dimenticarti di Elmina e di Käppchen. Cardillo,
Uccello santo, ascolta, se puoi, tutti i poveri Folletti e le loro
mute sorelle. Liberali dal male. Proteggili, Angelo o Demone che tu
sia, nobile Cardillo finché il Sole riempie di gioia tutto il cielo,
e quando la notte si accosta.»
E di analoga portata è quel che scrive in un poemetto del 1977
intitolato Il miracolo del cardellino. Racconto di borgata, Arsenij
Aleksandrovic Tarkovskij, padre del regista Andrej Tarkovskij:
«Tu, cardellino, stregone, mago,
veicolo di forze incomprensibili!
Libro vivente, a quale padrona
hai insegnato la felicità!
Con te è più bianco il giorno bianco
e di notte, più bianche del bianco
le fate battono liberamente le ali
nella mia stanza beata.»
Osip Mandel'stam, il poeta morto forse nel 1939 in un gulag
staliniano, nella sua vita è stato un po' cardellino: senza potere,
indifeso, privato della libertà e della vita, dotato di uno sguardo e
una voce straordinari. Nel secondo dei Quaderni di Voronez città
che Mandel'stam in una poesia ha definito «la patria del cardellino»
ha scritto:
«Getterò indietro la testa, mio cardellino
guarderemo il mondo noi due:
questo giorno d'inverno che punge come pula
è così duro nella tua pupilla?
Il codino a barca, giallonere le penne,
intinto nel colore sotto il becco,
lo sai quanto sei cardellino,
quanto sei civettone lo sai?
E l'aria che ha sul capo
nera e rossa, gialla e bianca!
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Dalle due parti guarda, ed è tutt'occhi!
Non guarderà più è volato!»
A volte il cardellino viene individuato come simbolo di una
particolare caratteristica; è il caso, per esempio, di un romanzo di
Luigi Capuana, Cardello, nel quale il protagonista, il cui nome
è Calogero, ha quel soprannome che dà il titolo al libro perché «vispo
come un cardellino». Lo stesso Capuana ha usato poi un cardellino
come aiutante magico nella fiaba Le arance d'oro.
E ne Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile il cardillo
compare spesso a significare qualcosa di delicato e grazioso, di
leggero ed amabile. Qui basterà ricordare una stupenda scena di La
mortella, nel secondo trattenimento della prima giornata. Una
sera, il principe che si era innamorato della mortella, andato a letto
e spente le candele e con intorno nient'altro che silenzio,
«sentì stropiccìo di scarpe per la casa e una persona venire a
tentone verso il letto. Pensò subito che fosse o qualche mozzo di
camera, che voleva alleggerirgli la borsa, o qualche monaciello,
che gli voleva togliere di dosso le coperte; pure, com'uomo ardito che
neanche il brutto inferno gli metteva paura, fece la gatta morta,
aspettando l'esito del negozio. Ma quando sentì presso di sé quella
persona, e, tastando, s'accorse del morbido, e dove pensava di toccare
pungoli di istrice, trovò cosa più sottile e molle della lana
barbaresca, più pastosa e soffice della coda di martora, più
delicata e tenera delle piume del cardellino, si lanciò ad
abbracciarla, e stimandola (qual era in effetto) una fata, le si
attaccò come polpo e, giocando a "passera muta", fecero a
"pietra in grembo". Senonché, innanzi che il Sole uscisse
come protomedico a passar la visita ai fiori che la Notte aveva resi
malati e languidi, l'amica si levò e se la svignò, lasciando il
principe pieno di dolcezza, pregno di curiosità, carco di meraviglia.
Continuò questo traffico per sette giorni...»
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Il cardellino, se vuole, se ne va
Quella certa insofferenza in mano al Bambino dipinto dal Montagna,
il breve volo della Madonna del grappolo d'uva, la smorfia di dolore
del cardellino del Tiepolo sono segni chiarissimi di indomabile
indipendenza. Il nostro cardellino se ne può volare via, se vuole,
dal suo ingombrante simbolo. Può cambiare identità, ritornando nello
stagno di Bosch. Troncare i fili, sfasciare le gabbie, e volare via
dalla mano del Sacro Bimbo, per ritornare tra grappoli d'uva, o sui
cardi.
Nella "foresta sacrilega" di Piero di Cosimo, il
cardellino c'è, senza il Cristo, e vola spensieratamente:
Piero di Lorenzo (Piero di Cosimo) (1462-1521), Hyalas e le
Naiadi (1487?), olio su tela, cm 155x174, Hartford (Connecticut,
USA), Wadsworth Atheneum
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Il "genio inquieto del Rinascimento", Lorenzo Lotto,
aveva dipinto un cardellino in mano al sacro Bambino della Pala di
Santa Cristina del Tiveron (1504-05) (Treviso, Chiesa parrocchiale),
un cardellino familiaris. L'anno dopo, era già al lavoro per
l'Allegoria della castità, in cui di tutt'altro cardellino
racconta:
Lorenzo Lotto (1480-1556/57), Allegoria della castità
("Sogno di fanciulla") (c. 1506), olio su tavola, cm 42,9
x 33,7, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Cress
Collection
E questo cardellino è sicuramente una varietà nuova, che per le
ragioni che vedremo subito, merita il nome di Carduelis ambigua
(Carduelis carduelis picta familiaris ambigua).
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Dal punto di vista, diciamo così, cardellinico, la tela del Lotto
sembra piuttosto una "allegoria dell'ambiguità". Forse il
cardellino che si vede qui, proprio sopra la satiressa, è appena
arrivato dalla promiscuità selvaggia dello stagno di Bosch, per
partecipare al complotto che si tende alla fanciulla dalla sinistra
del quadro. Oppure no: compare qui, nel sogno della fanciulla, come un
conforto cristiano alla mortificazione della carne. Angelo o demone?
Ambigui erano pure i cardellini di Bosch. Ma questi lo sono in modo
nuovo. Quindici grammi di uccelletto testimoniano qui senza vergogna
sia la passione di Cristo sia quella della carne, la confusione di
sottomissisone e libertà. Padrone di se stesso molto più dei
cardellini "matematici" e astratti di Bosch, questo qui
fuggirà dalle sacre tele e se ne andrà a mangiare fichi inverecondi
nella portentosa abbondanza delle nature morte.
Se riguardiamo ora il cardellino dipinto da Rubens, ci rendiamo
conto che sta scappando via, quasi "sotto la cornice" della
Sacra Famiglia di Dresda. Né angelo, né demone (e non vi sfuggirà
la differenza con quello di Jacopo Bellini, che deve la libertà a una
distrazione del Signore).
Pieter Paul Rubens (1577-1640), Sacra Famiglia (1632-1634
ca.), olio su tela, Colonia, Wallraf-Richartz Museum
Jacopo Bellini, Madonna col Bambino, tavola, Carpenedo,
Convento delle Eremite
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Nelle nature morte si mangia benissimo
Sull'orlo del Settecento miscredente, i cardellini, soprattutto,
mangiano. Non c'è natura morta o decorazione, sia pure d'altare, in
cui non faccia capolino un cardellino fuori contesto, decorativo, per
fatti suoi. Ribaltamento perfettamente simmetrico di ruolo: da
testimone di morte tra personaggi vivi, a testimone di vita nelle
nature morte.
Pier Francesco Cittadini (detto il Milanese) (1613/16- 1681), Esposizione
di fiori e frutta su tappeto (c. 1650), olio su tela, cm
58,5x73, Spoleto, Galleria Paolo Sapori
Franz Xaver Petter (1792-1866), Der Stieglitz, olio su tela
Bartolomeo Bimbi (1648-1730), Natura morta di fiori e frutta,
olio su tela, cm 88 x 67, Firenze, Gallerie Fiorentine, depositi
Juan De Espinosa (Spagna, attivo mid 1600), Natura morta con
grappoli, olio su tela, Parigi, Louvre
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E se ci trasferiamo a Napoli, nella bottega di Luca Forte, il
caravaggesco maestro della natura morta:
Luca Forte (c. 1600/605 - prima del 1670), Natura morta con rose,
anemoni, melagrane, limoni, cedri e uccelli, olio su tela, cm 72
x 94, Londra, Matthiesen Fine Art
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E tra i semi che mangia nei quadri, a differenza che nella realtà,
il primo posto spetta certamente ai fichi. Insistentemente, nella
tradizione greco-romana, il fico è l'albero impuro. Il tormentato
ciclo di riproduzione della pianta ha da sempre alimentato una
leggenda simbolica che va dall'iconografia del Paradiso terrestre alle
metafore linguistiche, a una vera e propria enciclopedia di scurrilità.
Come se non bastasse, il frutto intero assomiglia a un testicolo, e
ancora più, una volta aperto, a una vulva, e trasuda in modo
inverecondo un lattice, che per i Romani simboleggiava lo sperma.
Michele Pace(1792-1866), Natura morta, olio su tela
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Elisabetta Marchioni (attiva a Rovigo nella seconda metà del
XVII secolo), Capriccio floreale con vaso, frutta e uccelli,
olio su tela, ubicazione ignota
Pablo Picasso, che non era un carattere facile, diceva, sulla
difficoltà di comprendere l'arte: «Vogliono tutti capire la pittura.
Provino a capire il canto degli uccelli!». C'è poco da capire degli
uccelli. Quello che c'è da capire lo capiscono loro e tra loro.
Mistero. Le fotografie, con la loro pretesa di oggettività, dicono
molto poco. Così dicono molto poco del cardellino i dipinti che
vogliono rappresentarlo "così com'è". Nessuno dei grandi
disegnatori naturalistici del secolo che sta finendo si è sottratto a
quella tentazione antica di rappresentare il giallo, il nero e il
rosso in forma di uccelletto. Ma iIllustrare non vuol dire riprodurre.
Lo stesso Picasso aveva inciso su rame una coppia di cardellini,
che insieme ad altri trenta animali avrebbero dovuto illustrare la
monumentale Storia Naturale di (George Louis Leclerc de) Buffon.
Invece formano uno straordinaro bestiaro, in cui è contenuto un
suggerimento prezioso: l'astrazione non ci allontana dalla natura, la
"rappresentazione espressiva" di un cardellino ci include
inesplicabilmente e definitivamente nella sua storia.
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Pablo Picasso (1881-1973), Le chardonneret (1936?),
Acquaforte della serie di 31 per "Histoire naturelle",
Martin Fabiani, Paris, 1942, Lastra di rame, cm 320 x 420 (40 x
331), Milano, Civiche Raccolte d'Arte
Che cos'è allora veramente un cardellino? Un uccelluzzo da 15
grammi, un mutante alchemico, un profeta di morte e resurrezione, una
luce delle tempere rinascimentali, un compagno di giochi attaccato a
un filo, un segnale mediterraneo, un concerto per liuto, un simbolo di
libertà, una maschera popolare?
Non è raro, non è grande, non è invadente, non fa tenerezza, ha
un temperamento affettuoso con i simili e curioso degli altri, è
allegro e amico, libero e fiero. Fa volentieri la sua parte, ma non
gli dispiace stare da solo. Non sarà mai invitato in un talk-show,
come avviene di continuo alle foche, agli squali e agli orsetti. Una
convivenza antica nelle nostre stesse città, case, siepi, alberi,
quadri, pagine e scatole di latta, lo salvaguarda dalla rapacità
delle visite guidate per il bene della natura. Il fatto è che il
cardellino non sta fermo nel tempo. La sua forma è un racconto.
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