Recensione di Elogio delle azioni spregevoli

di Fernando Rotondo

su Sfoglialibro n.6 luglio-agosto 2004 supplemento a Biblioteche oggi - Editrice Bibliografica

                                                                                                                     

  La recensione è stata scritta pochi giorni prima della prematura scomparsa di Giuseppe Pontremoli, al quale abbiamo voluto dedicare un ricordo in apertura di questo fascicolo  [n.d.r. di Sfoglialibro]

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    Silvio D'Arzo in un suo racconto incompiuto ci dice che il signor Tobia Corcoran, direttore del "Premiato Collegio Minerva", riteneva che uno studente dai sei anni in avanti e un maestro dai vent'anni in avanti non potessero compiere "azione più immorale, malvagia, spregevole, allarmante" che, l'uno, leggere e, l'altro, far leggere libri che non fossero di testo (tre, per la precisione).     

     Giuseppe Pontremoli, lettore bulimico eppure selettivo e raffinato di libri per ragazzi e adulti, dai sei anni in poi ha letto ben altro che testi scolastici e dai vent'anni ne ha fatti leggere molti altri ai suoi scolari in quanto maestro elementare. Di qui prende avvio l'elogio di quelle cose spregevoli, (spregevolisssime, che sono il leggere e raccontare storie inventate, cose che non servono a niente, come ci ammonisce un orrendo personaggio di Rushdie e come ci aveva ricordato Rodari quasi quarant'anni fa: le fiabe, l'arte, la musica, la poesia, la lettura disinteressata, quella che ha il suo fine in se stessa, nella felicità che dona e non nel porsi al servizio di qualsivoglia macchina produttiva.
Leggere e raccontare storie aiuta i bambini a crescere bene, ma aiuta anche l'adulto che legge e racconta ai bambini. 

     Qui non si parla di quei libri che, come dice Bichsel, piacciono tanto alle zie e dove c'è un brulichio di topolini e orsetti e animucce e scherzettini ("coniglietterie" le chiamava Gianni Cordone, appartato ma piacevole autore di libri per bambini nonché valente direttore didattico a Vigevano; ce ne sono, ce ne sono così, non moltissimi, ma ce ne sono). Qui si parla di libri che "contengano una forte carica simbolica e sappiano parlare della realtà interiore" dei bambini e dei ragazzi. Pontremoli non si sottrae al compito di fare nomi e cognomi, dare titoli, fare scelte, indicandone le ragioni: L'isola in via degli Uccelli, Biancheggia vela solitaria, La donna di ferro, Memorie di una mucca, Il prigioniero del Caucaso, Rosa Bianca e altri. Indica tre grandi narrazioni, tre libri "bellissimi, accessibili e apprezzabili a ogni età, [...] indispensabili anche per quel che riguarda l''educazione alla pace' ": il citato Rosa Bianca, Harun e il mar delle storie e Naftali il contastorie e il suo cavallo Sus. Accosta il burattino di Collodi a Jim e a Nono in quanto Pinocchio, al pari dell' Isola del tesoro e di Ci sono bambini a zigzag, si presenta anche come un romanzo di formazione, costellato di passaggi al punto di configurarsi complessivamente come un viaggio reiteratamente iniziatico.

    Quale ex insegnante ed ex dirigente scolastico, chi scrive deve notare che rarissimamente gli è capitato di leggere una pagina (la 10 per la precisione) capace di toccare con tanta perspicuità le vette del comico e contemporaneamente del tragico - specchio purtroppo di una realtà, di una condizione diffusa della scuola e degli insegnanti - quale è quella in cui Pontremoli racconta di una insopportabilmente afosa giornata di giugno milanese passata ad ammazzare zanzare stando inchiodato con altri sofferenti su panche di legno sotto le grinfie di un aggiornatore sadico, verosimilmente un simil Corcoran. Pontremoli ce lo racconta per ricordarci e ammonirci: non si fa così! Perché il potere di quell'aggirnatore, come di ogni Corcoran, maestro o direttore che sia, è il modello che mira a conformare il ruolo dell'insegnante ed educatore quale "figura di potere", che sui bambini esercita potere e che comunque i bambini percepiscono come tale. Sulle tracce di Pasolini e Don Milani, due autentici "pedagogisti" con cui è necessario confrontarsi, Pontremoli propone di assumere a fondamento dell'insegnamento il principio di "'tradimento' a ogni conseguimento di potere". Le storie, le narrazioni, i libri servono anche a questo.

    Mentre leggevo il libro, prendendo devotamente appunti per poi citarlo (parafrasarlo?) in future occasioni, ho visto Big Fish, il film di Tim Burton che narra una parabola sulla funzione terapeutica del narrare, un film che sprigiona uno straordinario elogio dell'immaginazione e dell'invenzione che si avverano attorno al raccontare: "Senza storie ci resterebbero soltanto la politica e
i supermercati. E che razza di mondo sarebbe un mondo così?". Alla fine il figlio razionale (tutto cognitivo?) e riluttante si riconcilia con il padre moribondo incallito inventore e narratore di storie, perché "l'uomo è anche le sue storie". Il padre continuerà a vivere trasformandosi nel grande pesce, enorme, gigantesco, che racconta di aver pescato una volta (forse lo ha pescato veramente o forse no). Mi dispiace che Pontremoli non parli di cinema, l'altra grande sorgente moderna di narrazioni accanto al libro. È l'unico rimprovero che gli faccio, per il resto mi professo suo ammirato lettore e debitore.