Settembre è il più crudele dei mesi da ècole 9 2001 |
Vorrei leggere in pace “Settembre”,
di Attilio Bertolucci («canoro giorno di settembre / che ti specchi
nel mio calmo cuore»). 2001),
riproposto a settembre. Vorrei
leggere in pace I racconti
di Stevenson, trasposti dai “Millenni” nei Tascabili Einaudi a
settembre. Vorrei
ascoltare in pace Franz Schubert, e Schönberg e Stravinski, amori
immensi con la stessa iniziale di settembre. E
invece no. Nulla di tutto questo posso fare — e tutto a causa del
più bello dei mesi, settembre, l’ultimo dei quali ha però reso la
Terra desolata e posto così la propria candidatura a essere designato
come il più crudele dei mesi, scalzando l’aprile indicato invece
come tale dal cattolico antisemita T.S.Eliot. Nulla
di tutto questo posso fare, perché tutto io sono, e sei tu, e lui e
lei e loro, tranne che “in pace”. (E se provo a rituffarmi nel
primo libro della mia Bibbia personale, Moby
Dick, non posso non soffermarmi sul fatto che subito, nel primo
capitolo, Ishmael riflettendo sulle ragioni del proprio prendere il
mare ritiene che si tratti di una «parte del programma grandioso
elaborato dalla Provvidenza tanto tempo fa», ma una cosa minore, come
«una sorta di breve interludio, un piccolo assolo tra esibizioni
molto più ampie», e immagina che «sulla locandina, questa parte del
programma dovesse situarsi più o meno così: Grandi contestazioni alle elezioni del Presidente
degli Stati Uniti. Un certo Ishmael va a caccia di balene. Sanguinosa battaglia in Afghanistan.») Allora ho deciso di lasciar perdere tutto e raccontare una storia. Una storia di un grande poeta americano di origini svedesi, Carl Sandburg. C’è un libro molto bello, del 1922, uscito in italiano in due volumetti Mondadori del 1997 e del 1998 nella traduzione di Angela Ragusa, Storie di Rutabaga (in precedenza, nel 1989, la prima parte era stata pubblicata presso Piccoli in una traduzione meno felice ma arricchita da una bella introduzione di Mario Soldati e dalle preziose illustrazioni di Michael Hague).
E'
un bellissimo libro di storie fiabesche, da leggere ad alta voce,
magari ascoltando i Songs
to grow on di Woody Guthrie. Vi si trovano storie divertenti e
strampalate, poetiche e buffe, volpi blu, rotaie a zigzag, pagliacci
al forno, porcelli col bavaglino, bufali irsuti, ombre di sabbia, il
vento del mattino e il vento notturno e il vento blu delle ore di
mezzo, del crepuscolo che non è né notte né giorno, e il vento di
nordovest, e mille e una vicenda. Musica e musica, insomma.
Bellissimo. E
c’è, in questo bosco di storie, c’è quella storia che voglio
narrare. Senza aggiungere altro. Preavvertendo che ogni insorgenza di
senso d’angoscia è puramente casuale, cioè inevitabile. Nel
Villaggio di Fegato-e-Cipolle c’erano due grattacieli che «durante
il giorno, quando la strada brulicava di gente che comprava e vendeva,
parlavano fra loro proprio come si parlano le montagne. Di notte,
quando tutta la gente che comprava e vendeva era andata a casa e nelle
strade c’erano solo poliziotti e tassisti; di notte, quando la
foschia striscia per le strade e stende su ogni cosa uno scialle
porpora e grigio; di notte, quando le stelle e il cielo scrollano
sulla città lenzuola di nebbia porpora e grigia, allora i due
grattacieli s’inclinavano l’uno verso l’altro e bisbigliavano.
Se si bisbigliassero cose segrete, o cose semplici che tu e io e tutti
quanti conoscono, questo è un loro segreto. Una cosa è certa: spesso
furono visti inclinarsi l’uno verso l’altro e bisbigliare di
notte, proprio come di notte le montagne s’inclinano e bisbigliano. Alta
sul tetto d’un grattacielo c’era una capra di latta e ottone, lo
sguardo fisso oltre le praterie e i laghi d’argento azzurri
scintillanti come piattini di porcellana blu, e oltre le anse
argentate dei fiumi serpeggianti nel sole del mattino. E alta sul
tetto dell’altro grattacielo c’era un’oca di latta e ottone, lo
sguardo fisso oltre le praterie e i laghi d’argento azzurro
scintillanti come piattini di porcellana blu, e oltre le anse
argentate dei fiumi serpeggianti nel sole del mattino». Il
Vento del Nord-Ovest portava loro le notizie del vasto mondo, delle
montagne e del mare, e cantava e scuoteva l’oca e la capra di latta
e ottone, ma sempre prometteva allegramente che non le avrebbe
divelte: «Se mai vi strapperò la capra di latta e ottone e l’oca
di latta e ottone, sarà perché sono addolorato per voi, perché vi
sarà capitata una disgrazia e ci sarà il funerale di qualcuno». Così
il tempo passava, e il Vento del Nord-Ovest continuava a venire,
portando notizie e facendo promesse. E il tempo passò e passò. Il
tempo passò e i due grattacieli decisero di avere un figlio, e
decisero che sarebbe stato libero, libero di correre per la prateria,
verso le montagne e il mare. E il tempo passò e passò; e il figlio
arrivò. «E fu un treno, il Diretto Freccia d’Oro, il più veloce
treno a lungo percorso del Paese di Rutabaga. Correva per la prateria,
verso le montagne e il mare. Erano felici, i due grattacieli, felici d’avere
un figlio libero di correre via dalla grande città, via lontano verso
le montagne, via lontano verso il mare, di correre così lontano, fino
alle più lontane montagne e alle coste del mare toccate dal Vento del
Nord-Ovest. E i due grattacieli erano felici che il loro figlio fosse
utile, erano felici che il loro piccolo trasportasse migliaia di
persone per migliaia di chilometri al giorno, e quando si parlava del
Diretto Freccia d’Oro, se ne parlava come di un figlio forte e
amoroso». Altro
tempo passò, e un giorno i due grattacieli sentirono strepitare gli
strilloni: — Tutto sul grande disastro ferroviario! Tutto sul
disastro della Freccia d’Oro! Innumerevoli vite perdute!
Innumerevoli vite perdute! «E
arrivò il Vento del Nord-Ovest cantando una lenta triste canzone. E
più tardi, quel pomeriggio, una folla di poliziotti, tassisti,
strilloni e passanti con i pacchetti, tutti si fermarono a parlare e a
meravigliarsi di due cose che giacevano l’una accanto all’altra in
mezzo alla strada, tra le auto che passavano. Una era una capra di
latta e ottone. L’altra era un’oca di latta e ottone. E giacevano
lì, l’una accanto all’altra». Settembre
è il più crudele dei mesi. |