Il prezzemolo Rodari da Linea d'Ombra annata 1988 |
Il mio vicino - non vive solo, ma è lui che si sente russare e scatarrare - ha un
canarino. Se ne sente la voce, ogni tanto, ed è pure graziosa, anche
se sempre uguale. Si staglia con nitore su musichette insulse
eruttanti dalla tivù sempre accesa, su scrosci di sciacquone, su
insulti sordi e secchi regalati alla moglie. Sì, c'è anche lei, ma
la si sente poco. Quel poco che si sente, sono lamenti brevi mescolati
al cozzare di piatti. Una volta piangeva, ma s'è fermata subito perché
il capo le ha detto: "Smettila di piangere. È una cosa che a me
non m'interessa". (Il pianto o la sua causa? Si potrebbe pensare
che piangesse fors'anche per qualcosa che non era il marito. La cosa
è suggestiva, e se fosse così si potrebbe anche dirle
"complimenti, signora, lei ha fatto un bel pieno"). Rodari pubblica i suoi primi testi per bambini (firmati, anonimi o firmati con pseudonimi) nel 1949 sull'edizione milanese de "L'Unità" e sul settimanale comunista "Vie Nuove" (diretto allora da Luigi Longo e contenente una rubrica dedicata ai bambini, "Piccolo mondo nuovo", in cui comparvero anche testi di Bilenchi, Calvino, Saba, Gatto, Tozzi, Govoni). E sono dei primi anni Cinquanta (dapprima sul "Pioniere", poi in Il libro delle filastrocche, Roma, Edizioni del Pioniere, 1950 e in Il treno delle filastrocche, Roma, Edizioni di Cultura Sociale,
1952) i testi chhe daranno vita nel 1960
al suo primo libro einaudiano: Filastrocche in cielo e in terra. Così
come del '51 è Il romanzo di Cipollino, Edizioni di Cultura
Sociale. Questi testi, al di là del loro valore letterario, sono
importantissimi perché si tratta dei primi strumenti con cui la
cultura di sinistra si rivolge organicamente e con sistematicità ai
bambini, immettendo nella produzione per l'infanzia la lotta di
classe, la realtà sociale, la storia. Precedentemente
c'erano stati soltanto libri isolati, come Totò il buono di Zavattini, del '43, ambientato in una città industriale e in cui il
"cattivo" è un padrone di fabbrica, e le poesie antiautoritarie
e libertarie di Alfonso Gatto pubblicate da Bompiani nel' 45 con il
titolo Il sigaro di fuoco ("Non date retta al re/non date
retta a me/ (....) Non date retta al saggio/ al maestro del villaggio/
al maestro della città/ a chi vi dice che sa./ Sbagliate soltanto da
voi"). Il
lavoro di Rodari in quegli anni (soprattutto i Cinquanta, ma anche
parte dei Sessanta, fino a La torta in cielo, del'66, da cui
Lino Del Fra ricaverà poi un buon film) è caratterizzato dalla
denuncia delle ingiustizie e dell'oppressione di classe, anche se già
nel '60, nell'edizione Einaudi di Filastrocche in cielo e in terra, ci sono varianti significative - di natura politica più che letteraria
- dei
testi pubblicati precedentemente:
alcuni scompaiono, come Il bimbo di Modena, che diceva "So
che si muore una mattina/ sui cancelli dell'officina,/ e sulla
macchina di chi muore/ gli operai stendono il tricolore" dopo
avere "visto la Celere/ quando sui nostri babbi ha sparato",
in altri "i ricchi" diventano "i fannulloni" e un
"miliardario americano" diventa un più generico
"miliardario forestiero". E non è un caso che sia proprio
di quegli anni la storia di Cipollino, in cui si mette in campo un
mondo articolato nei dettagli e che rappresenta e prefigura una
condizione sociale inaccettabile, e quindi combattuta, e quindi vinta.
C'è da dire, tra l'altro, che Rodari in tutta la sua copiosa opera
non ha mai prodotto un Peter Pan, un Pinocchio, un'Alice, cioè mai un
Personaggio Indimenticabile e Assoluto,
proiezione ideale del lettore ben oltre
il tempo di immersione nella lettura. L'unica eccezione in questo
senso - ed è comunque un'eccezione parziale, derivante forse più
dalle pur brutte tavole disegnate da Raul Verdini sul
"Pioniere" che dal romanzo e probabilmente di dimensioni
minori di quelle dei coevi Chiodino (del '52) e Atomino (del '63), di
Marcello Argilli (con le Negli anni successivi il lavoro di Rodari perde le caratteristiche degli inizi, per certi aspetti affinandosi stilisticamente, per altri facendosi più ripetitivo, più generico nelle opzioni ideali - che restano comunque quelle "universali" della libertà, dell'uguaglianza, della pace. Cambiati i tempi, cambiato lui, cambiato il partito, il mondo? Certo. C'erano gli archi costituzionali, le unità nazionali, i compromessi storici, le estati effimere - ma la polizia sparava ancora, e quanto ai padroni... Comunque Rodari non pubblica più esclusivamente sulla stampa del partito, ma accede al "Corriere dei Piccoli", all'Einaudi, alla televisione. Arrivando così anche nei libri di testo. A fare il canarino. Sì, perché inevitabilmente ì testi antologizzati (anche i libri di lettura sono cambiati, ma non poi più di tanto) sono quelli, pur belli e in ogni caso non comparabili neppure vagamente a tutto il resto, più indifferenziatamente accettabili, sono quelli più generici o quelli più meramente linguistici". E questi, presi a sé, fuori dal mondo di progettualità in cui sono nati (prendere la parola, prendersi le parole, giocare con le parole, puntare brechtianamente il dito su ogni voce e chiedere: e questo, perché?) non hanno molto senso, come acqua del mare in un bicchiere. Perché questo, probabilmente, è il senso più forte, il valore più intenso di Rodari: progettare, globalmente e senza chiudere, contemporaneamente usando il
cannocchiale da ogni Iato, con lenti
d'ogni tipo, con occhi aperti e chiusi. E in quello ch'è forse il suo
libro più bello, Grammatica della fantasia (Einaudi, 1973),
Rodari ne dà una prova straordinaria: un libro che ha per sottotitolo
il depistante Introduzione all'arte di inventare storie, e che
tale non è, ed è invece una bellissima storia. Una storia che
appassiona e diverte, una storia di denuncia e fiducia, di fantasia e
di ragione, una storia dentro la Storia. Uno strumento efficace per
scardinare e fare, per dubitare e credere - di tutto, del vero e del
possibile, e nel possibile vero. Dubitare e fare per credere a un
futuro sperabile, per esempio al "paese di Domani" di una
delle Favole al telefono. E
chi un giorno, nel Paese di Domani, volesse visitarne il "Museo
del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non
servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, (...)
l'inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza,
eccetera", potrà vedervi, in apposita stanza, anche il mio
vicino. La moglie no, perché chissà dov'è. Non la si riconosce
proprio più: è completamente cambiata, perché nel Museo, tra le
cose che non servono più, c'è anche La parola Piangere, che
addirittura dà il titolo alla fiaba. E il canarino? Non so, sarà nel vasto mondo. Sarà nel vasto mondo a far l'uccello, a cantare e volare. Questo è sicuro, perché lì vicino alla tazza c'era (guarda nella Grammatica - in quella di Rodari, beninteso -: ci sono cose preziose sui verbi all'imperfetto), c'era quella che un tempo era la gabbia. Era stata smontata, ed era diventata un mazzetto di stecche: indispensabili per infilzare e pungere, e, soprattutto per spingere giù. |