Le storie di Giufà da ècole 7 2001 |
Sono piccoletto e ho la barba, dico serenamente allorché debba indicare come individuarmi nella folla di una stazione ferroviaria, un aeroporto, una piazza a qualcuno che non m’abbia mai visto. So bene, evidentemente, quanto poco esclusive siano le suddette
peculiarità,
ma proprio non saprei che altro dire, trattandosi delle quasi sole
certezze che ho in dotazione sul mio conto. E così, una volta che con
dei bambini di prima elementare si camminava camminava beatamente nel
vasto mare dei segni e dei sogni del diventare grandi, non ho esitato,
probabilmente anche per rinforzare il tentativo di liberare le
differenze, ad avventurarmi nel dire che crescendo si poteva arrivare
pure ad essere bassi come me. Sarà anche perché mi trovavo in piedi
e lui, ancor più che seduto, sdraiato sulla sua seggiolina; il fatto
è che Samuele, uno dei più minuscoli seienni che mai mi sia accaduto
di incontrare, strabuzzando gli occhi e con una smorfia indignata ad
ampio spettro, contro lo scherzo l’imbroglio e la menzogna,
sentenziò: «Ma cosa dici? Tu sei alto!».
Non intendo dilungarmi sull’emozionante, ricchissimo
dibattito filosofico che ne seguì; né intendo crogiolarmi
nell’evocazione dello spessore delle prodigiose architetture
narrative di William Faulkner o del Rashomon
di Kurosawa o dei Viaggi di
Gulliver di Jonathan Swift. Intendo solo accennare e ammiccare a
quanti e quali cieli e terre si dispieghino nelle trame dei rapporti
tra alto e basso.
E così, volendo parlare di Giufà, preso dall’entusiasmo per
l’uscita presso Sellerio di Le storie di Giufà, a cura di Francesca Maria Corrao e con una nota
di Leonardo Sciascia (ma sarebbe stato più corretto dire che si
tratta di una nuova edizione di Giufà.
Il furbo, lo sciocco, il saggio, Oscar Mondadori 1991), non mi
limiterò a ricordare che a lui si sono rifatti scrittori come lo
stesso Sciascia, Giambattista Basile (il suo Vardiello è Giufà),
Gesualdo Bufalino, Italo Calvino, Francesco Lanza, Nino Martoglio,
Grazia Deledda, Giuseppe Bonaviri, ma partirò addirittura da
Alessandro Manzoni. Egli infatti, in un discorso pubblicato postumo
nel 1850, diceva: «Un mio amico, di cara e onorata memoria,
raccontava una scena curiosa, alla quale era stato presente in casa
d’un giudice di pace in Milano, val a dire molt’anni fa. L’aveva
trovato tra due litiganti, uno de’ quali perorava caldamente la sua
causa; e quando costui ebbe finito, il giudice gli disse: avete
ragione. Ma, signor giudice, disse subito l’altro, lei mi deve
sentire anche me, prima di decidere. È troppo giusto, rispose il
giudice: dite pur su, che v’ascolto attentamente. Allora quello si
mise con tanto più impegno a far valere la sua causa; e ci riuscì
così bene, che il giudice gli disse: avete ragione anche voi. C’era
lì accanto un suo bambino di sette o ott’anni, il quale, giocando
pian piano con non so qual balocco, non aveva lasciato di stare anche
attento al contraddittorio; e a quel punto, alzando un visino
stupefatto, non senza un certo che d’autorevole, esclamò: ma babbo!
non può essere che abbiano ragione tutt’e due. Hai ragione anche
tu, gli disse il giudice.»
Il giudice di cui racconta Manzoni è Giufà, come si scopre in
una storia non compresa nel libro di Francesca Corrao. Non compresa
perché questo bellissimo libro è solo una campionatura delle storie
di Giufà (19 siciliane, 32 arabe, 20 turche), che sono innumerevoli e
provenienti dalla cultura orale di tutto il Mediterraneo.
Anche il nome “Giufà” è esemplificativo, essendo questo
il nome usato in Sicilia; lo stesso personaggio si chiama Guhâ nei
paesi arabi, Giucca in Toscana, Giaffah in Sardegna, Giocha per gli
ebrei sefarditi, Zha in Marocco, Gawhâ in Nubia, Ben Sikran nel
Sub-Sahara, Abu Nuwas in Siria e Iraq, Djuha in Algeria e Tunisia,
Djoha in ebraico, Guhî in Persia, Giucà a Trapani e nelle comunità
albanesi, Nasreddin Hoca in Turchia (ma raccontano di lui anche Jacob
e Wilhelm Grimm con «Gianni Testa-fina», Aleksandr N.Afanasjev con
«Un idiota patentato» nelle Antiche fiabe russe e Lev Tolstoj con «Lo sciocco» nel primo de I
quattro libri di lettura). E a Giufà è significativamente e
giustamente ricorso Italo Calvino, che ha inserito sette sue storie
nelle Fiabe italiane, così
annotando: «Il gran ciclo dello sciocco, anche se non è fiaba, è
troppo importante nella narrativa popolare anche italiana perché lo
si lasci fuori. Viene dal mondo arabo ed è giusto che scelga a
rappresentarlo la Sicilia, che dagli Arabi direttamente deve averlo
appreso. L’origine araba è anche nel nome del suo personaggio:
Giufà (talora Giucà, anche nei luoghi di dialetto albanese), lo
sciocco a cui tutte finiscono per andar bene. Oltre alla tradizione di
Giufà ho tenuto presente il quasi omonimo Giucca, toscano e Er
matto, romano. Si ricordino anche “il pazzo”, mantovano, Tonin
mato, triestino, El stupido,
dalmata, Turlulù, trentino
e i sette matti da Gello, toscani».
«Lo sciocco a cui tutte finiscono per andar bene» è una
buona sintesi, anche se le sue manifestazioni sono molto più
variegate. Giufà infatti è di volta in volta ladro, giudice,
padrone, servitore, mercante, contadino, e, come dice Francesca
M.Corrao nel suo importante saggio a chiusura del libro, «agisce
sempre per capovolgimenti e, nell’accostare ordini incompatibili tra
di loro, può trovarsi in una situazione che fa emergere l’aspetto
simbolico o mitico del suo carattere (...). Si mostra sempre per
quello che non è e lascia il dubbio che sia quello che non appare».
Inoltre, a seguirne le vicende «ci si addentra in una dimensione
onirica e si finisce con l’avere la sensazione di inseguire una
forza ideale che supera ogni ostacolo». Francesca Corrao analizza
accuratamente le differenze che intercorrono tra i vari “Giufà”
e, molto opportunamente, dice che «mentre nei paesi musulmani i
racconti di Guhâ o di Nasreddin possono ancora essere annoverati tra
le letture preferite dai giovani, nella nostra cultura quelli di
Giufà sopravvivono esclusivamente nel ricordo degli adulti e nelle
ricerche degli studiosi». È vero, ma questo altro non è che una
ulteriore conferma di quanto accidiosa sia la nostra cultura. Ogni
volta che vado in una biblioteca o in una scuola a raccontare storie,
non evito mai di raccontarne diverse dei vari Giufà. Piacciono
moltissimo. Credo che sia perché ai bambini piace ridere e camminare
camminare per i cieli e le terre del paradosso e del sogno. |