Bambini in vetrina, libri di adulti da Linea d'Ombra annata 1990 |
Uno, sfregandone due tra di loro, ha scoperto che dentro c'era il fuoco. Un altro, sopra a una, voleva costruire la sua Chiesa - e poi l'ha anche fatto, e quella è diventata quel che è. Certune le si usano a seppellire qualcuno; cert'altre a seppellire qualche cosa. C'è poi chi se ne serve, scagliandole, per difendere il diritto: di vivere e di abitare la terra in cui è nato. Vicende consistenti, come è ben evidente; ma anche nel caso pedestre in cui una - per piccola che
sia - ti entri in una scarpa, per leggiadro che sia il tuo danzare,
devi fare una smorfia e piegare la schiena, darle un po'
d'attenzione e
toglierla di lì. C'è poco da scherzare, con le pietre. E
allora, forse, non è troppo casuale che la vita e la morte di Iljùsa
Snjeghirjov proprio attorno Essendo
convinto che questo sia molto vero - e volendo aspettare ancora un
po' prima di convincermi che abbia ragione Dispiace che i molti entusiasti recensori non abbiano avuto qualche sospetto; eppure, per un timbro sostanzialmente omogeneo, per certe chiuse richiamantesi, per certi stilemi, almeno qualche dubbio avrebbe dovuto affacciarsi. A frequentare le scuole, a leggere sistematicamente quello che i bambini scrivono, o a pensare per esempio a un libro come I quaderni di San Gersolè (Einaudi), dove c'erano davvero voci diverse, qualche dubbio si sarebbe affacciato. Dubbio che sarebbe ben presto stato chiarito dallo stesso D 'Orta, il quale, a un certo punto, come se non esistessero nemmeno quelle sue affermazioni nelle striminzite trentasei righe di premessa, ha dichiarato di aver fatto un montaggio, che i testi erano stati scritti da bambini di varie scuole, di chissà quali anni, che il libro insomma era suo. A un certo punto: cioè esattamente quando i genitori dei bambini, impressionati dalle vendite del libro, hanno rivendicato per i loro figli i diritti d'autore. Altro che "buoni e santi ricordi", altro che salvarsi; si tratterà piuttosto di cercar di capire chi si debba temere di più: chi ti usa e ti cancella o chi si ricorda di te solo quando gli sembra che tu possa fargli avere danaro? lo non lo so, chi tra questi si debba temere di più, ma - circa i ricordi, "buoni e santi", che quei bambini potranno custodire dalla loro infanzia - non posso non fare un'ulteriore congettura: c'era un clima pessimo, un clima particolarmente nefasto,un clima schifoso. Il
9 ottobre 1917 Karl lo non sarei in grado neanche oggi di descrivere una gita o una passeggiata autunnale, e mi sia di conforto la consapevolezza che neppure Goethe sarebbe stato capace di comporre un tema dalla sua citazione (...); quanto poi alla domanda, quanto il clima possa influire sullo sviluppo spirituale dell'umanità, si potrebbe rispondere al massimo che deve essere un clima schifoso, se ha portato
l'umanità a scannarsi a vicenda per mangiare di più, ed i
superstiti a rapine reciproche per non morire di fame e lo stato ad
impiccare le vittime invece degli strozzini. In particolare però
potrei accennare solo a questo, che il nostro clima particolare è
particolarmente nefasto, se lo sviluppo spirituale deve essere
giudicato non solo dalla situazione bellica, ma anche dal sistema
idiota e deleterio dei compiti scolastici di tedesco; sistema che,
come capisco da questi esempi, non è mutato di un'acca negli ultimi
trent'anni." (K. Kraus, Elogio della vita a rovescio, Studio
Tesi 1988). E nemmeno negli ultimi settanta, come si può vedere da
esempi che qui non farò, rimandando semplicemente all'indice del
libro di D'Orta. Non
è certo la prima volta che ci si trova di fronte a una nefanda per
definizione operazione commerciale; nemmeno è la prima volta che ci
si trova di fronte a un documento sconfortante di nefande pratiche
didattiche ben vive nelle nostre scuole;
nemmeno è la prima volta
che nefandamente si folclorizza su Napoli e sui bambini, giacché le
strade del colonialismo e del razzismo sono sovra temporali e
all'incirca dello stesso numero delle vie del Signore; ma il
problema sta proprio nel fatto che non si tratta della prima volta,
bensì di ancora una volta. Certo, ognuno può dedicarsi con
meticolosa applicazione alla nefandezza che preferisce, ma io vorrei
ricordare quel che diceva Giovenale: "Se prepari qualche
nefandezza, abbi almeno il massimo rispetto per l'infanzia" (Satire,
XIV). Sì, rispetto: una parola così semplice e forte da fare
paura, perché presuppone che l'altro esista davvero. Non si tratta
di fare del bambinismo, di darsi un sentire ideologico, di spalmarsi
addosso appiccicaticce melasse; anche perché io proporrei piuttosto
di assumere a principio quello che diceva Femand Deligny: "Bettelheim
dice che bisogna amarli. Ma non mi faccia ridere. lo dico: bisogna
rispettarli. Quello che mi irrita è l'indigestione di affetto che
si fa subire ai ragazzi, è da questa indigestione che nasce lo
scompenso. Picchiare i ragazzi non è grave, soffocarli è
tremendo." (F. Deligny,I ragazzi hanno orecchie, Emme
1978; ma è questo un libro che non si trova più, e nemmeno si
trova - ed è una mancanza ancora più grave -, dello stesso Deligny,
lo straordinario I vagabondi efficaci, Jaca Book 1973).
Proporrei di assumere questo non certo perché ritenga che i bambini
debbano essere picchiati o si debba non amarli, ma perché nel
rapporto educativo - almeno fino a lo
speriamo che me la cavo è
il prodotto di una cultura che tutto prevede ma non il rispetto per
i bambini, e in quanto tale è un libro pericoloso; e non è un
libro divertente. Non importa che contenga espressioni divertenti,
il problema vero è che di quei modi espressivi, di quei bambini, di
quelle condizioni di esistenza, come ha scritto con la consueta
acutezza Antonio Faeti su Prendere
la parola, prendersi le parole, è quanto di più arduo; eppure è
possibile, e probabilmente è qualcosa che ha molto a che È
questo, senza dubbio, un libro diverso da quello di D'Orta; eppure,
all'incirca, altrettanto equivoco. Sì, equivoco, perché ancora
una volta dell'infanzia si parla soltanto per le situazioni
estreme, per le situazioni in qualche modo spettacolari, contribuendo
così forse anche a stuzzicare interessamenti morbosi. Sì, equivoco,
perché quelle bambine, le loro esperienze tragiche, le loro vite
private di tenerezza e rispetto e amore e riempite invece di violenza,
di cancellazione, di uso annichilente, vengono esposte, poste in
vetrina. E questa è un'altra violenza, gravissima anch'essa. Perché
farlo? Abbiamo forse bisogno dei dettagli delle violenze subite, per
prendere coscienza? Se è così, siamo anche noi violentatori, e non
sarà certo inorridendo che rimedieremo alla violazione subita o alla
violenza ulteriore. E non c'è solo questo; c'è anche almeno un altro
problema: sono molte le persone che non abusano sessualmente dei corpi
dei bambini, ma tra queste - e, ripeto, sono molte - ce ne sono troppe
che violano comunque le loro vite: trascurandole, posponendole,
deridendole, ignorandole, disprezzandole, non rispettandole. Tacere
e far tacere, allora? No di certo, decisamente. Si tratta piuttosto di
dire molto di più; parlare e fare parlare, e molto di più -
semplicemente: sempre -, e ascoltarli davvero - semplicemente: sempre
- i bambini; e parlare con loro davvero, e molto di più; e farsi
ascoltare da loro. Per dare loro "buoni e santi ricordi" da
custodire dalla loro infanzia? Per contribuire in qualche modo alla
loro salvezza? Certo - e perché no? -. Ma anche per la salvezza
nostra, perché dai bambini -
e sia il libro di D'Orta sia quello
della Parsi, pur nella loro equivoca essenza, non fanno che
confermarlo - possono arrivare illuminazioni prodigiose, per esempio
sul senso del ridere e del piangere, sull' essere e sull' avere,
sull'oggi e sul futuro, sul progettare e l'andarsene, sul clima, sulla
tristezza. E sulla difficoltà di dotarsi di ricordi "buoni e
santi".
Può
darsi che, più di Aljosa Karamazov, abbia ragione Wilbur |