L'opera di Giuseppe Pontremoli tra nonsenso e dissenso

di Anna Meta

su Il pepe verde n.21 2004

                                                                                                                     

   

Come alla fine della vita, quando una persona rimane incantata: ne rimane la storia nella memoria di chi è ancora qui, e così rimane qui anche chi sembrerebbe essersene andato.

 (Giuseppe Pontremoli, Il mistero della collina).

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   Giuseppe Pontremoli, scomparso il 9 aprile 2004 a soli 48 anni (era nato a Parma nel 1955), è considerato uno degli scrittori per ragazzi più fini del Novecento. È stato un maestro elementare, ha studiato con passione e attenzione le questioni legate ai temi della lettura, la narrazione orale, la letteratura per l'infanzia. Ha studiato inoltre le rappresentazioni dell'infanzia nella letteratura, le uniche dove sia possibile scorgere i bambini come innumerevoli singolari e non il Bambino come è rappresentato nei trattati di Pedagogia. È stato un insegnante e uno studioso diffidente verso i Bambinologi e ha preferito affidarsi a chi si era accorto dei bambini guardandoli per davvero e guardando le cose loro intorno. Dunque la sua preferenza si rivolgeva a EIsa Morante, Tolstoj, Bilenchi, Henry Roth, Don Milani, Guimaraes Rosa.

   Ha collaborato con varie riviste, tra cui "Linea d'ombra" e "École", ha scritto saggi, poesie e romanzi per ragazzi.

 Un'attività vantaggiosa

   È stato consapevole di meritare il biasimo da parte dei ben pensanti per alcuni suoi modi di fare, ad esempio non resistere all'impulso irrefrenabile di voltarsi a guardare i bambini, perché, nonostante avesse a che fare con loro ogni giorno, grande era il desiderio di osservarli muoversi in tutti gli spazi, nei loro gesti, ascoltarli nel loro passare da una domanda all'altra, guardarli, rapportarsi alle cose loro intorno per intrecciare il dentro e il fuori. Si è voltato a guardarli nei libri inseguendoli nel loro cammina cammina dentro i racconti e i romanzi. Riteneva questa attività vantaggiosa per almeno due ragioni. La prima, da ravvisare nella capacità di rappresentare l'articolatezza dell'infanzia da parte di grandi scrittori che possiedono una visione dinamica di questa età, la ritroviamo nelle pagine di Melville, Faulkner, Twain, per citare solo alcuni tra gli autori molto amati da Pontremoli. La seconda ragione per giustificare il guardare nei libri viene avvalorata dalla possibilità che ci si dà di leggere storie che finiscono col donare al lettore un piacere. Risultato apprezzabilissimo, sostiene Pontremoli, il quale sottoscrive il parere di Auden nel ritenere il piacere lontano dall'essere un criterio critico infallibile, ma sicuramente è il meno ingannevole.

   Un'altra tra le azioni riprovevoli da lui compiute è stato esaltare la lettura di libri e il raccontare storie inventate. Di questo suo entusiasmo ne troviamo una testimonianza nel suo intervento nell'antologia Leggere gli anni verdi, curata da lui insieme a Cesare Pianciola per le Edizioni e/o, e nell'ultima opera Elogio delle azioni spregevoli, pubblicata dalla casa editrice L’ancora del Mediterraneo, il cui titolo riprende il duro giudizio di un personaggio letterario, il signor Gradgrind di Tempi difficili di Dickens, sul leggere i libri e il raccontare storie di fantasia. Per questo personaggio solo i fatti rappresenterebbero l'unico vero bisogno della vita, tanto da indurlo ad ammonire sua figlia con la raccomandazione «non immaginare mai!». Nutrirsi di storie sembra a molti un esercizio vuoto, senza valore, soprattutto sul piano degli apprendimenti, eppure, sostiene Pontremoli, mentre riporta ad esempio una citazione da Dostoevskij, le storie possono contribuire a costituire durante l'infanzia uno scrigno cui attingere anche in futuro. Perfino ciò che appare gratuito, improduttivo, insensato può servire. Le filastrocche, afferma, sono insensate, eppure servono. I bambini spesso riescono a fare fronte alle paure servendosi delle filastrocche che, abitando nel nonsenso, sono imparentate con il dissenso. Per questo consentono aperture che introducono nella dimensione del mutamento e dell' inventiva.

   Raccontare storie ai bambini, cioè aiutarli a crescere, aiutarli a imparare a vivere è l'impegno di Pontremoli. I bambini hanno bisogno di storie come hanno bisogno di cibo. Il bisogno di storie è universale, a dimostrazione cita una frase tratta da un saggio di Ursula K. Le Guin: «Ci sono state grandi culture che non usavano la ruota, ma non ci sono state culture che non narrassero storie».

   Le narrazioni permettono di intravedere le possibilità del cambiamento prospettate nei racconti.   Ma al di là del racconto deve essere presente una passione vera che abbracci il senso stesso della propria esistenza, una passione da mantenere viva e da alimentare continuamente. E Pontremoli, anche se conosce i motivi veri e profondi che conducono a fare i conti con la paura e la gioia di leggere, non si limita a prescrivere il balsamo, dimostra invece come occorra essere sinceri per invogliare a leggere, comunicare il forte sentire che viene dalla portanza delle storie. Racconta di praticare con i suoi alunni l'azione spregevole di leggere insieme libri e della complicità che viene a crearsi nel gruppo, naturalmente l'aiuto viene dalle belle storie.

 La Storia e le storie

   Pontremoli è consapevole d'imporre le sue scelte ai bambini, sa che per contagiare i suoi ascoltatori deve essere sincero, deve mostrare di sentire i libri dai quali individuare le proprie proposte da porgere. Faceva parte di quella schiera di adulti di un tempo che, come ricordato da Faeti in La bicicletta di Dracula, non si tiravano indietro nel rendere partecipe l'infanzia del loro mondo, dei loro miti, dei loro sogni, avvalendosi nella comunicazione di solide attrezzature metaforiche. Si dichiara orgoglioso di non aver mai utilizzato le letture e i racconti presentati agli alunni per qualsiasi forma di esercitazione scolastica. Ha soltanto offerto ai bambini la possibilità di parlare molto dei racconti e di quello che questi racconti provocavano in loro. La pratica della discussione per lui - diffidente verso i lavori organizzati con tutte le dovute articolazioni, con obiettivi didattici da conseguire - conduce sicuramente a risultati meno banali di quelli ottenibili con i lavori da eseguire all'interno di un tempo scolastico segmentato, nel quale viene tolta la possibilità di fluttuare in tutta calma e di fatto diviene un atto contro la lettura.

   Tra gli autori di libri per ragazzi proposti nel saggio sentiamo di citare Stevenson, Rushdie, Twain, D'Arzo, Orlev, Hughes, Collodi, ma, come già evidenziato da altri, mancano tra le proposte i libri per ragazzi degli scrittori contemporanei più affermati e apprezzati. Pontremoli non giudicava positivamente questi autori? Probabilmente la sua sincerità di educatore e di appassionato amante delle storie lo ha spinto prevalentemente alla ricerca di condivisione e di comunicazione di sue esperienze di lettore e per fare questo poteva utilizzare solo i testi più vicini al suo sentire.

   Anche il tempo della Storia, la politica interferiscono inevitabilmente con le vite dei bambini. La Storia finisce con l'interferire anche con la letteratura per l'infanzia, diviene indispensabile. Sostiene Pontremoli nel capitolo "Della pace e della guerra" di Elogio delle azioni spregevoli, che la Storia non soppianti le storie, anzi queste ultime dovrebbero illuminare la Storia se sono storie in grado di suscitare nuove domande, senza limitarsi a fornire risposte. Tra gli esempi riusciti di libri in cui la Storia è esplicitamente presente richiama L'isola di via degli uccelli di Uri Orlev, La donna di ferro di Ted Hughes, Rosa Bianca di Roberto Innocenti, Il prigioniero del Caucaso di Tolstoj, quindi libri che esprimano il bisogno di racconto, di invenzione, di ricerca, di scoperta, di apertura.

   «C'è bisogno di storie. Storie che facciano sospettare di avere a che fare con il cosiddetto reale, non già che pretendano di rivelarlo. C'è bisogno di storie caratterizzate dalla lingua, dallo spessore simbolico, dall' eco risonante nelle cavità interiori.» Allora il valore delle storie con un esplicito riferimento alla Storia non deve essere ricercato nell'adesione al reale, nel politicamente corretto.

   Analogamente Pontremoli avverte che bisogna diffidare anche di quegli altri libri bene intenzionati, concepiti per suscitare buoni sentimenti, con l'intento di avvicinare i bambini all' amore per la natura e a impegnarsi per la sua salvaguardia, ma generalmente privi di quello spessore da cui trarre il senso della presenza umana sulla terra e dei rapporti che intercorrono tra tutti gli esseri e gli elementi che la abitano. Si può in questo caso pensare solo a "storie boscose", storie anch'esse dotate di una forte carica simbolica, caratterizzate soprattutto dall'essere scritte "in una lingua dignitosa", che dimostri di essere utilizzata da qualcuno che consideri i bam­bini persone da rispettare.

 Estetica deI libro

   La diffidenza di Pontremoli tocca tutti quei libri, costruiti ad hoc, dedicati a i problemi: mafia, droga, inquinamento, pace, anoressia, ecc. Libri nati per esigenze di mercato e per fornire alibi alla pigrizia dei docenti. I problemi importanti dovrebbero essere sviluppati all'interno di storie che nascono da esigenze dell'arte. Ancora una volta rimane l'esigenza di toccare le corde profonde. Questo secondo Pontremoli è il punto di partenza per un cammino insieme, docenti e discenti, lungo i percorsi dell'immaginare e del dire, attraverso il quale si può costruire uno strumento autentico per affrontare i problemi reali. L’interrogativo «Chi sono io?», che si pone, si ripropone, e si impone a tutti noi, gli dà l'occasione di parlare dei romanzi di formazione, romanzi punteggiati di passaggi che si presentano ogni volta come nuove iniziazioni. Romanzo di formazione è per Pontremoli Le avventure di Finocchio, dove Collodi mette in scena una concezione tragica dell'infanzia e della sua alterità. Il libro dovrebbe essere conosciuto subito da tutti e essere ripreso più volte, ma sempre nella sua integrità e non attraverso riduzioni e adattamenti. Anche L'isola del tesoro è un susseguirsi di passaggi. Il protagonista Jim Hawkins, al pari di Pinocchio, passa attraverso il susseguirsi di continue scoperte del lato oscuro della realtà. A questi due libri viene accostato Ci sono bambini a zig zag di David Grossman, che Pontremoli definisce L'isola del tesoro del Novecento, con anche il pregio di presentare tre straordinarie figure femminili. Il valore di questi grandi libri iniziatici, difficilmente contenibili nelle definizioni "per bambini" o per "ragazzi" è di essere grandi «anche perché, pur chiudendo perfettamente i loro cerchi, non chiudono orizzonti, non forniscono soluzioni secche», continuano invece a far germinare domande. Pontremoli si è anche cimentato come narratore per ragazzi. Il romanzo Il mistero della collina, pubblicato da Giunti, è costruito seguendo lo schema di una storia gialla i cui indizi confusi si ricostruiscono man mano che si procede con il racconto. Presenta due voci narranti che si alternano, una, in terza persona, narra lo svolgimento dei fatti, l'altra voce irrompe in prima persona in modo più irruente, soffiando elementi e riflessioni sparse. Il racconto raccoglie e ricompone tutti i temi cari all'immaginario di Pontremoli: storie riprese dalle tradizioni orali di altre culture, il valore della memoria e delle storie, il vento, l'omaggio agli scrittori Silvio D'Arzo e Joao Guimaraes Rosa.

   Le pagine di Pontremoli sono difficilmente riassumibili per la quantità di spunti di riflessione ricchi di bagliori che ci offrono. Dai suoi scritti si staglia la figura di un maestro che si è assunto la responsabilità di agire la propria parte perché erano i ragazzi a chiedergli una presenza viva alll'interno dell'accadere. La dimensione pedagogica entro la quale si è espresso è stata quella di Don Milani e di Pasolini, per lui tra i pochi pedagogisti italiani con cui era veramente necessario confrontarsi. È la scelta di una dimensione che evidenzia come valore l'effettivo mettersi in gioco in tutta la propria interezza.

   Il forte sentire che Pontremoli ci ha testimoniato, la ricerca dell'essenzialità più intima e vera - di cui ci piace pensare che gli venissero dall'essere cresciuto camminando tra l'intrico degli alberi dentro il bosco e dal suo amore per l'incontrollabilità del vento - ci indicano la strada per la scoperta del valore delle storie e della memoria. È un percorso affascinante anche se sempre più difficile oggi nel nostro orizzonte povero e limitante, costellato da vuote insegne roboanti e da individui persi nell'inseguimento dell'ennesimo feticcio.