Letture settembre 2004 Paola Mastrocola, Una barca nel bosco, Parma 2004, Guanda, pp. 257 Giuseppe Pontremoli, Elogio delle azioni spregevoli, Napoli 2004, L’Ancora, pp. 158
di Piero Morpurgo - Su Nautilus |
************************** Nel leggere il libro della Mastrocola mi sono tornati alla mente quei passi di Agostino che spesso leggo in classe: “Dio, Dio mio, quante ne ho viste di miserie e di raggiri allora, quando ancora bambino mi proponevano come ideale di vita l'obbedienza a quelli che volevano fare di me un uomo di successo e un vincitore nelle arti della chiacchiera, che servono a procacciare prestigio fra gli uomini e false ricchezze. Fui mandato a scuola, a imparare a leggere e a scrivere, senza avere la minima idea, infelice, di che uso se ne potesse fare. E tuttavia, se ero tardo nell'apprendere, mi battevano. Perché era un metodo approvato dagli adulti”. Così Sant'Agostino (in trad. italiana) descrisse il suo malessere di studente che diventò disagio di insegnante tanto che nelle Confessioni (in latino) il maestro spiega quanto fossero indisciplinati gli studenti di Cartagine[1] e quanto poico rispettosi gli allievi di Roma[2]. Vivere a scuola è sempre stato difficile; oggi sembra lo sia anche di più. Una barca nel bosco (p. 68) rappresenta con efficacia le ansie di chi vuole imparare e si trova conteso tra ricordi e aspettative deluse: il padre e l’isola sono lontani e la speranza di studiare davvero è insidiata da riti pedagogici ridicoli e da un raffinato luddismo che pervade le aule scolastiche e universitarie tutto inteso a stroncare l’originalità e l’intelligenza della gioventù con il ‘metodo approvato dagli adulti’. La Mastrocola ha vinto meritatamente il Premio Campiello con un libro che presenta l’intrecciarsi di passioni e disillusioni di uno studente che da un’isola si trasferisce a Torino per studiare al Liceo e poi all’Università. Gaspare immaginava che dal primo giorno di scuola avrebbe affrontato cose toste e invece viene trascinato nella ‘settimana dell’accoglienza’: per cinque giorni in giro a conoscere le scale, la palestra, i bagni della scuola (p. 13). E’ questo un libro che dovrebbero leggere tutti i Ministri di tutti i dicasteri i quali si renderebbero così conto di come le innovazioni didattiche scivolino spesso nel populismo. Ci si accorgerebbe come il ‘brainstorming’ evidenziando il desiderio di diventare amici degli studenti non porti a scoprire ‘letture’ ma comporti la necessità di fare una festa in classe (p. 23) e nel frattempo le versioni dal latino non si fanno perché a Gaspare dicono che a scuola “cercheremo di fare un latino agile flessibile. Un latino divertente” (p.26). Gaspare prima di trasferirsi sul Continente aveva imparato a conoscere l’Odissea, l’Eneide, l’Orlando Furioso grazie ad un’insegnante di scuola media che lo aveva appassionato alle storie degli uomini. I sogni si infrangono nei contorti percorsi della didattica e delle mode fatte di cover di telefonini e di scarpe firmate. Del resto a scuola oggi si sta per imparare a ‘relazionarsi con gli altri’ e questo non lo insegna quel Verlaine (p. 43) a cui Gaspare si era affezionato. La scuola fatta di walkman, di cover di telefonini, di masterizzatori, di collezioni di CD, di Play Station, la scuola dei ritardi dei professori e di quanti copiano i compiti delude Gaspare che con grande coraggio decide di andare a parlare con il Minotauro-Preside per denunciare tutto e il risultato è davvero inaspettato…. (p. 52) o forse no. I tentativi di adeguarsi alle mode, di inserirsi sono infiniti, ma Gaspare ci prova: compra i jeans strettissimi che gli fanno male, la felpa corta e tuttavia continua ad essere escluso (p.81), anche se si sforza persino di andare male e di prendere voti inferiori al sette. L’applauso Gaspare poi lo otterrà e anche il consenso della Preside- Minotauro (p.87), cominceranno così le lezioni di branco e le iniziazioni alle feste, di squillini e di chat menzognere che trascinano nel ridicolo lo studente (p. 169). Ma Gaspare non riesce a smettere di studiare (p. 101) e permane la sua insoddisfazione sino a quando non compra un pioppo e lo porta a casa in tram (p. 143): l’amore per le piante condiviso con l’amico Furio riempiranno la vita e la casa di Gaspare. Verrà poi il tempo dell’università del desiderio di iscriversi a Latino, desiderio frustrato ‘perché non serve a niente...’ e allora Scienze della Comunicazione ‘una cosa moderna, frizzante...’ (p.187) che non soddisfa, così come non soddisfano le lauree brevi e il counsellor che dovrebbe orientare gli allievi e che invece insegna ‘l’arte di spiluccare’ (p. 189). Gaspare non demorde e vuole studiare l’opera De reditu suo di Claudio Rutilio Namaziano e farci la tesi (p. 195). La realizzazione del desiderio incontrerà infinite difficoltà: l’imprendibile appuntamento con il professore (p. 197) e un mondo accademico ottuso che mira solo all’autocitazione, la tesi verrà scritta con entusiasmo, ma.... Gaspare ‘non si doveva permettere’(p. 201) . Chissà che direbbe lo studente Gaspare nell’apprendere che del suo De reditu ora c’è una versione cinematografica e che è disponibile con lessici e concordanze un testo latino nella IntraText Digital Library. La tesi verrà terminata e Gaspare otterrà anche il massimo dei voti. Inizierà il faticoso percorso del ‘cercare lavoro’: umiliazioni e illusioni mitigate dalla grande passione che porteranno Gaspare e il suo amico a progettare Bosco Mondo (p. 238) un progetto architettonico che entusiasma e che vien voglia di ricreare, un progetto fantastico che mitiga l’amara ironia sulle condizioni dell’istruzione in Italia. Tuttavia l’ammirazione per la fantasia della Mastrocola sulla ‘camera del pioppo’ non deve cancellare la rigorosa denuncia dell’insegnante-scrittrice sui mali della Scuola italiana (e in qualche recensione sembra cogliersi questa tendenza...). I libri della Mastrocola e quello di Pontremoli si legano tra loro per appartenere al mondo di chi la Scuola la costruisce con passione esaltando quel principale metodo di studio che è la lettura. Chi sia Giuseppe Pontremoli (1955-2004) appare da quel che scrive in difesa dei bambini ricordando quel che diceva Giovenale: "Se prepari qualche nefandezza, abbi almeno il massimo rispetto per l'infanzia" (Satire, XIV). Sì, rispetto: una parola così semplice e forte da fare paura, perché presuppone che l'altro esista davvero. Non si tratta di fare del bambinismo, di darsi un sentire ideologico, di spalmarsi addosso appiccicaticce melasse; anche perché io proporrei piuttosto di assumere a principio quello che diceva Femand Deligny: "Bettelheim dice che bisogna amarli. Ma non mi faccia ridere.Io dico: bisogna rispettarli. Quello che mi irrita è l'indigestione di affetto che si fa subire ai ragazzi, è da questa indigestione che nasce lo scompenso. Picchiare i ragazzi non è grave, soffocarli è tremendo." (F. Deligny, I ragazzi hanno orecchie, Emme 1978; ma è questo un libro che non si trova più, e nemmeno si trova - ed è una mancanza ancora più grave -, dello stesso Deligny, lo straordinario I vagabondi efficaci, Jaca Book 1973). Proporrei di assumere questo non certo perché ritenga che i bambini debbano essere picchiati o si debba non amarli, ma perché nel rapporto educativo /.../ uno dei rischi più incombenti è la prevaricazione, anche da parte dei benintenzionati. Io speriamo che me la cavo è il prodotto di una cultura che tutto prevede ma non il rispetto per i bambini, e in quanto tale è un libro pericoloso; e non è un libro divertente. Non importa che contenga espressioni divertenti, il problema vero è che di quei modi espressivi, di quei bambini, di quelle condizioni di esistenza, come ha scritto con la consueta acutezza Antonio Faeti su "l'Unità" del 4 aprile '90 - in tutti i salotti italiani si ride sconciamente. E non è un libro divertente, non può esserlo, perché è il prodotto di una cultura che non considera i bambini se non quando garantiscano in qualche misura lo spettacolo; una cultura che si serve di loro, nutrendosi di violenze e mistificazioni e chiudendo il suo squallido pasto con il dessert stomachevole del "dolce" e dell' "ingenuo" o del "poverino è stato violentato". Stomachevole, sia chiaro, non certo perché i bambini non abbiano dolcezza e ingenuità o non subiscano violenze, bensì perché semplicemente falso, posticcio, pretestuoso - e guardonesco, anche. Prendere la parola, prendersi le parole, è quanto di più arduo; eppure è possibile, e probabilmente è qualcosa che ha molto a che vedere con ciò che ha qualche senso. E parlare, dirsi e dire - e scrivere, quindi - può anche portare ai più diversi esiti, anche tra i bambini. La scuola potrebbe essere un luogo all'incirca privilegiato; questo però può avvenire soltanto là dove ci si dia da fare a praticare un uso realmente libero del linguaggio, ma un uso realmente libero del linguaggio può aversi soltanto là dove lo si assuma come una costante e non come un evento - come il respiro, insomma -, e invece la costante è per lo più il non uso del linguaggio, la degenerazione in stereotipo, la riduzione a secchezza o a vuoto, e troppe pratiche didattiche sono improntate a sottolineare la forzatura e l' estraneità, il dire a comando, l' artificio. (Cfr. http://www.albertomelis.it/pontremoli_bambini_in_vetrina.htm ) 1) Trattato di geometria e di aritmetica del signor Tobia Corcoran; 2) Trattato di grammatica del signor Tobia Corcoran; 3) Trattato di analisi logica del signor Tobia Corcoran. Durante i cinque minuti di riposo agli alunni è concesso di ricrearsi guardando le figure geometriche.” (pp. 32-33). In realtà occorre esaltare la lettura a scuola perchè non porta alcun profitto immediato e tangibile, non porta alcunché di misurabile, “perché leggere è inoltrarsi nel cammina, cammina. Leggere è aprirsi alle domande. Leggere è cancellare il prezzo del tempo. Leggere è esporsi, mettersi in gioco. Gratuitamente. E i dati sulla lettura in Italia sono ben conosciuti, come ben conosciuti sono i dati su quanto leggano gli insegnanti” (p. 42). Difatti i non lettori in Italia sono il 61,4% e le tabelle dell’ Istituto nazionale di statistica relative alla cultura alla società e al tempo libero sono illuminanti: Tavola 1.4 segue - Persone di 6 anni e più che guardano la televisione e ascoltano la radio, leggono quotidiani o hanno letto libri negli ultimi 12 mesi per frequenza, classe di età, titolo di studio e sesso - Anno 2001 (dati in migliaia)
Ha ragione l’autore a denunciare “la malinconica ragionevolezza della scuola, lugubre convoglio diretto a Tristapoli” (p. 134), ha ragione il bravo maestro che sapeva raccontare le storie e che qui non ha dimenticato di passare in rassegna (e di citare) la quantità di autori che esaltarono il piacere di leggere, ha ragione Pontremoli ad esaltare l’esempio, citato nelle sue Memorie da Stevenson, di quel fabbro gallese venticinquenne e analfabeta cui capitò di ascoltare un capitolo del Robinson letto ad alta voce nella cucina di una fattoria; l’esperienza lo sconvolse perchè si rese conto che esistevano dei sogni impalbabili, “scritti e rilegati, e li si poteva comperare in cambio di poco denaro per poi goderne a volontà”. Fu allora che il giovanotto decise di “imparare a leggere il gallese, e quando vi fu riuscito andò a chiedere il libro in prestito: naturalmente si era perduto e l’unica altra copia che se ne poteva trovare era in inglese. Niente paura: si rimise a studiare di nuovo, imparò l’inglese, e poté leggere da cima a fondo, con immutato piacere il romanzo di Defoe”. Piero Morpurgo [1] Agostino, Confessioni, Lib. V.8 : “apud Carthaginem foeda est et intemperans licentia scholasticorum: inrumpunt inpudenter et prope furiosa fronte perturbant ordinem, quem quisque discipulis ad proficiendum instituerit. multa iniuriosa faciunt, mira hebetudine et punienda legibus, nisi consuetudo patrona sit, hoc miseriores eos ostendens, quo iam quasi liceat faciunt, quod per tuam aeternam legem numquam licebit; et inpune se facere arbitrantur, cum ipsa faciendi caecitate puniantur, et incomparabiliter patiantur peiora, quam faciunt. ergo quos mores cum studerem meos esse nolui, eos cum docerem cogebar perpeti alienos;”. [2] Agostino, Confessioni, Lib. V, 12: “et ecce cognosco alia Romae fieri, quae non patiebar in Africa. nam re vera illas eversiones a perditis adulescentibus ibi non fieri manifestatum est mihi: sed subito inquiunt ne mercedem magistro reddant, conspirant multi adulescentes et transferunt se ad alium, desertores fidei et quibus prae pecuniae caritate iustitia vilis est. oderat etiam istos cor meum, quamvis non perfecto odio. quod enim ab eis passurus eram, magis oderam fortasse quam eo, quod cuilibet inlicita faciebant”. |