Storie per bambini

da "Per Elsa Morante" ed. Linea d'Ombra 1993

                                                                                                           

Umberto Saba, cioè colui che Elsa Morante ha definito, con ragioni non soltanto sue, "il poeta di tutta la vita", diceva che ai poeti altro non resterebbe da fare se non la poesia onesta; la stessa Morante diceva all'incirca che poeta vero è colui al quale interessa tutto tranne la letteratura. E io qui, con il supporto dell'assunzione di questa coppia di affermazioni e con la 

 tendenziosa determinazione del lettore innamorato, vorrei provare a fornire una prova ulteriore del fatto che Elsa Morante è stata un grande scrittore, un grande poeta, e ha fatto nient' altro che la poesia onesta. Questo nella sua opera complessiva, evidentemente, ma anche in un ambito sempre - e non solo per quel che riguarda la Morante - trascurato ma, a mio modo di vedere, di grande importanza: le storie scritte per i bambini. È evidente che la mia esibita caratteristica di lettore innamorato, affetto prima di tutto dal morbo del pregiudizio favorevole, non fornisce alcuna garanzia circa il possesso di strumentazione critica - se non, forse, quella del piacere, certo meno ingannevole di altre, come diceva Auden, ma in ogni caso fallibilissima. E mi dota invece di un sovrano arbitrio; un arbitrio che mi potrebbe anche portare a scambiare uno sputo per una stella - ma se questo dovesse accadere potrei anche dire di non esserne nemmeno troppo dispiaciuto, giacché in quel caso mi troverei in una compagnia a me soltanto cara: la compagnia del mio omonimo che abita dentro quel grande libro che è La Storia, il bambino Useppe; il quale, "fiducioso e festante", imparò tra le prime la parola "ttella" (stella), e una volta, appunto, "arrivò perfino a riconoscere una ttella in uno sputo"1.

E così, rinforzato nel mio sovrano arbitrio anche da quella sovrana compagnia, dirò di avere un po' barbonescamente - o forse infantilmente, se è vero, e io credo lo sia, quel che diceva Benjamin: che i bambini amano i materiali di scarto - frugato tra i rifiuti, e di avervi trovato, insieme a inequivocabili sputi, anche più di una stella.

 Negli anni Trenta Elsa Morante scrisse storie e poesie per i bambini, pubblicandole su periodici come il "Corriere dei Piccoli", "I diritti della scuola", "Il Cartoccino dei Piccoli". Storie e poesie che poi trascurò o rifiutò, salvandone soltanto alcune e raccoglien­dole in un libro da lei definito postumo in quanto uscito nel 1942 presso Einaudi ma appartenente alla sua preistoria. Scriveva infatti, in testi autobiografici degli anni tra il 1958 e il 1960, che

     la mia intenzione di fare la scrittrice nacque, si può dire, insieme a me; e fu attraverso i miei primi tentativi letterari che imparai, in casa, l'alfabeto. Nello scrivere mi rivolgevo, naturalmente, alle persone mie simili; e perciò, fino all'età di quindici anni circa, scrissi esclusivamente favole e poesie per i bambini. Alcuni di quegli scritti vennero pubblicati (e pagati) in quella stessa epoca, da giornali per l'infanzia. Altri invece rimasero inediti (...) Dopo i quindici anni, in­cominciai a scrivere poesie e racconti per adulti.2

 E ancora, in un testo probabilmente del 1958, scriveva che

 fin dai tempi che aveva imparato le lettere dell'alfabeto E.M. componeva poesie e storie - per lo più di un genere fantastico, - e poco più tardi, verso i tredici anni di età, incominciò a pubblicare queste sue produzioni, con illustra­zioni disegnate da lei stessa, su vari giornali per fanciulli che gliele pagavano regolarmente;

 inoltre, che

 un suo romanzo-fiaba (...) rimasto inedito fra i suoi manoscritti di quell' epoca, fu poi stampato - diciamo così, postumo, - dall'Editore Einnudi nel 1942. Anche questo romanzo era illustrato con disegni dell'autrice (disegni dell'epoca). Esso fu presto esaurito, e presentemente è introvabile.3

 "Presentemente" nel 1958, perché invece un'ulte­riore edizione, contenente soltanto il racconto Le straordinarie avventure di Caterina, è uscita nel gen­naio 1992 presso la Einaudi scuola, nella collana "La bibliotechina"; un'edizione economica e tascabile quanto mai opportuna, ma immalinconita e ammorbata da un'appendice didattica la cui unica vera funzione è quella di assecondare le già immani pigrizie degli insegnanti.

Il libro, uscito nel settembre 1942 da Einaudi, si intitolava Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina. Nel 1959 ne uscì, sempre da Einaudi, con il titolo Le straordinarie avventure di Caterina, una nuova edizione accresciuta, ristampata nel 1969 e poi nel 1985 nella collana "Libri per ragazzi". Il libro, tuttora disponibile, è il primo titolo della collana "Libri per ragazzi", ed è composto da quattro storie precedute da una "lettera dell'autrice" così formulata:

 Carissimi lettori, l'Autrice, che potete vedere qui sopra in un ritratto dell' epoca, magnificamente incorniciato, era una ragazza di circa tredici anni quando scrisse le storie del presente libro, e ne disegnò le figure. A quel tempo, essa non aveva nessun Editore. Aveva due gatti di diversa grandezza, ma di uguale importanza, e un certo numero di fratelli e sorelle minori di lei. Costoro erano gli unici lettori suoi, a quel tempo: e fra quei lettori, pochi ma scelti, le presenti storie ebbero un vero successo.

 Il ricordo di quel successo incoraggia, adesso, l'Autrice, a offrire le medesime storie a voi, in un bel libro stampato da un vero Editore. Essa spera che questo libro vi piaccia, e vi faccia divertire. La vostra amicizia sarebbe per lei un onore, che la consolerebbe, oggi, nella sua vecchiaia

Augurandovi, dunque, buona lettura, essa si dichiara

 la Vostra fedele e affezionata AUTRICE.

 Le quattro storie sono il "romanzo-fiaba" che dà il titolo al libro e tre racconti molto brevi, tutti e tre già usciti precedentemente su riviste: Un negro disoccu­pato, comparso il 12 maggio 1935 su "Il Cartoccino dei Piccoli" e il 15 gennaio 1939 su "I diritti della scuola" nella rubrica "La pagina dello scolaro", rubri­ca in cui comparvero più volte scritti di Elsa Morante; Piuma mette K.O. l'amico Massimo, pubblicato sul "Corriere dei Piccoli" il 22 settembre 1935; Il soldato del Re, uscito anch' esso sul "Corriere dei Piccoli" il 27 giugno 1937.

Si tratta di storie di estrema grazia, molto lievi, contraddistinte prevalentemente da una serenità diffu­sa, che poi non si incontrerà più, in nessuna delle opere "adulte". E in una di queste storie, Un negro disoccupato, per non fare che un esempio, c'è tra l'altro una squisitezza in versi che da sola giustificherebbe la lettura del racconto:

 In cima all'albero

splende la luna

e sotto l'albero

splende un lumino.

C'è una damina bruna

che aspetta un omettino.4

 Il "romanzo-fiaba", Le straordinarie avventure di Caterina, inizia alla maniera dei cantastorie, con un'introduzione in versi che accenna a luoghi, situa­zioni, personaggi che si incontreranno poi nel corso della storia - treni che corrono tra i rami degli alberi, principesse che suonano la chitarra, l'ancora misterio­so ma subito definito "famoso" Tit, fate, castelli, e regine Marmotte e principi Marmottini e quant'altro - e con l'invito a partire, non appena sopraggiunga la notte, con il treno delle meraviglie. Partire, soprattut­to, "senza salutare nessuno", in libertà piena, senza rendere conto a chicchessia del proprio andare, in una sorta di kafkiana "passeggiata improvvisa" tanto ap­parentemente immotivata quanto profondamente in­contenibile. E la storia, che si apre subito con la narratrice che vi entra e ne dichiara, come i narratori orali, e come altrove la stessa Morante, la veridicità, è la storia di Caterina - che ha una bambola di nome Bellissima "fatta di tela di sacco, con la testa un poco storta, e gli occhi, il naso e la bocca di filo rosso"5­e di sua sorella maggiore Rosetta, la quale pratica, quando riesca a trovarne, i più disparati mestieri, dal rammendare calzini all'annaffiare orti all'insegnare ai bambini a soffiarsi il naso. Le due sorelle - e Bellis­sima, che delle tre "è la più contenta perché, essendo tutta di stoffa, non sente né fame né freddo, al contrario di Rosetta e di Caterinuccia"6 - vivono in una casa "grigia, piuttosto brutta. Per guardare fuori della finestra bisogna salire su di una sedia, e stare molto attenti. perché la sedia zoppica. Inoltre è necessario, per guardare fuori, aprire la finestra anche se fa freddo, perché al posto del vetro c'è una striscia di cartone".7

Già l'ambientazione e la scelta dei personaggi sono sintomatiche, e si ritrovano, oltre che negli altri scritti per bambini, anche nelle opere maggiori. Emerge fin dagli inizi, in Elsa Morante, la propensione pauperistica, la predilezione per le Cenerentole, per gli "idioti", per i luoghi scarnificati - come dire ripuliti dalle scorie della irrealtà -, per ogni entità costituzionalmente aliena dal potere.

Un giorno, allontanatasi Rosetta per cercare qual­cosa da mangiare, arriva lo Stracciarolo che, dalla spazzatura in cui Caterina l'ha buttata in un momento di sconforto generato dalla fame e dalla solitudine, si prende Bellissima, lascia in cambio un soldo bucato e se ne va. Caterina, che ama la bambola di un amore sconfinato, è subito disperata e vorrebbe inseguire lo Stracciarolo. ma la disperazione aumenta a vedere la strada buia e vuota. Improvvisamente, chissà come e da chissà dove, arriva Tit, che "viene sempre da lontano" e "aveva preso molta pioggia; aveva addosso un cappuccio e uno straccio; i suoi occhi erano celeste scuro e i suoi bei capelli gialli. Era molto bello, ma si vedeva che era stanco; aveva in mano la sua trombetta d'argento, regalatagli un tempo dalla Principessa delle Querce, e che ora non suona più; ma Tit la teneva sempre per ricordo".8 Tit vorrebbe mangiare, ma Caterì gli spiega rapidamente la situazione e decidono di partire alla ricerca di Bellissima. Ricerca ardua, certo, ma resa possibile e sicura dalla presenza di Tit. Tit è infatti tenero e audace, coraggioso come nessuno, vulnerabile ma rigoglioso di risorse, simbolo di riscatto, essere divinamente innamorante, delicato incantato incantatore, disponibile fino alla dissipazione ma al tempo stesso tenacemente ancorato al proprio sentire. Una specie di "fanciullo primordiale", di orfano divino, un intreccio di Prometeo e di Epimeteo, un Dioniso con le malinconie e le ferite aperte del Piccolo Princi­pe di Saint-Exupéry. Come il Piccolo Principe – che Elsa Morante allora non poteva conoscere, essendo il libro di Sainl-Exupéry del 1943 - continuamente ricorda la rosa che ama tanto e si chiede accorato se possa accadere che la pecora la mangi, anche Tit non si risparmia nel raccontare le proprie imprese, e un'in­tensa commozione e un acuminato pudore lo ammu­toliscono o lo rendono furioso quando l'occhio gli cada sulla tromba d'argento che non suona più o un usignolo annunci che canterà "la sua più grande im­presa". Sì, perché questa "più grande impresa" è legata al suo amore infelice per la Principessa delle Querce, che lui ha salvato dalle Tigri; e la Principessa l'ha sì baciato, e per ben due volte, ed è andata con lui a camminare camminare nel bosco, e gli ha regalato "la trombetta d'argento che suonava una canzone dolce, ma una sola, con una voce che sembrava la sua"9, e Tit aveva creduto che la Principessa potesse essere per lui una specie di madre, ma lei invece se ne è andata con quel Principe alto e tutto vestito di ferro e l'ha dimen­ticato ed è per questo che la tromba non suona più. E Caterina, che di Tit è davvero innamorata, "avrebbe voluto dire: 'Sarò io tua madre', ma al solito non trovò il coraggio di fare un discorso così importante".10

A me sembra che qui ci sia una riprova consisten­te della "poesia onesta" di Elsa Morante. Elsa Morante ha scritto per i bambini una storia d'amore, ma, giusta­mente, una storia d'amore bambino, una storia delica­ta e forte e dolorosa come possono essere gli amori dei bambini - della cui essenza era evidentemente ben consapevole se, per non fare che un esempio, in Menzogna e sortilegio poteva far dire ad Elisa:

 Un giorno, invitata a una festa di bambini della mia stessa età. ne fui ricondotta a casa piangente, e così sconvolta da averne poi la febbre. E ciò perché un minuscolo indiano, ch' io non conoscevo affatto, ma che avevo subito preferito a tutte le altre maschere per il suo splendido costumce s'era involato nella danza, quasi al mio primo entrare nella sala, fra le braccia d'una spagnola!11

 Ha scritto una storia d'amore bambino e l'ha scritta senza balbettamenti e bamboleggiamenti ma assu­mendo un punto di vista rigorosamente infantile – e poco importa che questa storia davvero sia stata scritta prima dei suoi quindici anni o invece allora delineata e poi, in età più matura, rielaborata - . L'amore, infatti, assunto davvero dal punto di vista infantile, fino a quando sia e rimanga espressione ed esperienza, sarà connotato dalla tenera forza sensuale della tene­rezza, e avrà bisogno di baci e dell'incantato cammi­nare camminare in quel magico iniziatico luogo che è il bosco, ma nel momento in cui arrivi a tradursi in comunicazione e conoscenza non potrà che parlare, come Peter Pan in rapporto a Wendy, di desiderio di madre - o di fratello, come la Norina di Disordine e dolore precoce di Thomas Mann - , cioè di tenera rassicurante riproposizione di un conseguimento esperito.

Quello di Caterina è un amore infelice, e verrà ribadito come tale nel proseguimento della storia, al compiersi dei ricongiungimenti, delle agnizioni, delle letizie. Infatti il divino Tit se ne andrà, avendo negli occhi bagliori mai visti, con una piccolissima Princi­pessa sperduta, e questa Principessa altri non è che la figlia della Principessa delle Querce e del Principe Felice, quello alto e tutto vestito di ferro che, a differenza di Tit, non era stato in grado di affrontare le Tigri. Tit sta per partire con la Principessa e arriva

 un grande soffio di vento che gli fece sventolare i capelli, c Caterina non gli aveva mai visto negli occhi due luci così gloriose. Caterina stese le braccia, ma non trovò il coraggio di dire a Tit il dispiacere che le dava questa separazione; la sua trecciolina pendeva giù, in una posa disperata.12

 A sentire con tanto dolore non sarà, nella storia delle storie di Elsa Morante, soltanto Caterina; saran­no, ovviamente con ben diverso spessore e altre im­plicazioni, anche Elisa, Anna, Emanuele, Useppe, Francesco, Arturo, Nunziata; e tratti di Tit si ripresenteranno in Nino, in Wilhelm, in Edoardo, in Aracoeli, in Giuditta...

Caterina da allora aspetterà le visite di Tit, e non saranno attese vane, giacché Tit non la dimenticherà. Anzi, le lascerà anche la sua tromba, che tornerà a suonare, e quel che ne uscirà sarà una canzone di Tit , per Caterina. E inoltre:

 Tit venne, e ritornò, e spesso va a trovarla, insieme alla piccola Principessa. Cantano sulla chitarretta delle canzoni meravigliose, che parlano di palazzi rossi e di bandiere, di tigri, di cingallegre e di giacinti. Cantano di banditi che dormono sulle montagne e di principesse dai bei capelli che passeggiano per i giardini tenendo in mano una margherita. Cantano di avventure straordinarie che tutti i bambini conoscono, quando alla sera partono per il Palazzo del Sogno".13

 E:

 al Palazzo del Sogno, i cinque amici (cioè Caterina, Bellissima, Rosetta, Tit e la Principessa) si ritrovano spesso, a casa di Caterì e nel regno di Tit.14

Il Palazzo dei Sogni è una specie di Isola-che-non­c'è; ma, a differenza di quella di Peter Pan, a proposito della quale Silvio D'Arzo accusava James Barrie di avere avuto il torto di renderla "accessibile soltanto a nidi di tordo e a biglietti da cinque sterline piegati a

barchetta: e al prezzo, soprattutto, di rinunce impossi­bili"15, questa di Elsa Morante è invece accessibile a tutti, e l'accedervi è solo ricompensa. E anche rispetto a un'altra isola bellissima, quella di Robinson, sempre D'Arzo diceva che Defoe "ebbe il torto, alla fine, di renderla fin troppo comoda e bella: l'addomesticò, con tenacia tutta inglese: poi ne fece un magnifico orto, quindi una specie di riformatorio, e, infine, una esemplare colonia, e, se aggiunse una provincia al­l'Impero, finì col sottrarne un'altra alla regione della fantasia. Brutto cambio"'16 E contrapponeva a queste l'isola di Stevenson, il quale ben sapeva, dice D'Arzo, "per lo meno che grande valore essa può mai avere alle volte, soprattutto quando si è bambini, malati, e all'in­torno non ci sono che le nere strade di una vecchia città".17 Il Palazzo dei Sogni non aggiunge province ad Imperi, e se a qualche regione appartiene si tratta soltanto di quella della fantasia: esso infatti "non è altro che la riunione delle case che tutti i bambini sognano durante la loro vita. Le sue finestre sono sempre illuminate e ogni bambino vi possiede un appartamento. Vi sembrerà strano, ma spesso i bambi­ni che sembrano i più poveri qui dove siamo, hanno invece i più ricchi possessi in quel palazzo".18 Anche intorno a Caterina non ci sono che strade buie e vuote, e allora forse questa Isola-che-non-c'è della preistoria morantiana si potrà configurare come un' isola di teso­ri.

 EIsa Morante ha scritto altre cose per i bambini. Come già ricordavo all' inizio, negli anni Trenta collaborò a riviste per bambini o a spazi particolari che alcuni periodici riservavano loro. Mentre un discorso a parte meriterebbe la collaborazione a "Oggi" e la rubrica "Giardino d'infanzia", indirizzata agli adulti, io qui voglio solo ricordare alcuni di quegli scritti rivolti ai bambini che in seguito furono abbandonati o rifiutati nei fatti dalla stessa Morante, e comunque mai più ripubblicati - con la sola eccezione, per quanto ne so, di una storia riproposta sul numero del dicembre 1991 di "Linea d'ombra": La casa dei sette bambini, uscita nel 1933 sul "Corriere dei Piccoli" e non ricor­data nella pur accurata bibliografia che correda i due volumi delle Opere usciti a cura di Carlo Cecchi e Cesare Garboli nei "Meridiani" di Mondadori. Sem­pre sul "Corriere dei Piccoli" del 1933, nel numero del 9 luglio, e anch'essa non registrata nella bibliografia dei "Meridiani", uscì Storia di una povera Caroluccia, una storia molto breve e piuttosto debole di una servetta, in cui compare anche un Omino del bosco che hoffmannianamente addormenta la protagonista but­tandole negli occhi la sabbia.            .

Sul "Corriere dei Piccoli", oltre ai testi già ricorda­ti, uscirono anche altre storie brevi, filastrocche e un lungo racconto, La storia dei bimbi e delle stelle, pubblicato in nove puntate, dal 5 marzo al 30 aprile 1933. Dal 5 marzo, e non, come dice la bibliografia dei "Meridiani", dal 26 febbraio, data in cui invece una nota redazionale annunciava che "Nel prossimo nu­mero avrà principio un altro racconto, una fantasiosissima fiaba, tutta ingegnose sorprese, soffusa d'un delicato candore"; e dell'autrice si diceva che fosse "una scrittrice nuova, giovanissima, che, quando compose questa sua leggiadra fantasia, era certo più giovine di molti lettori del 'Corriere dei Piccoli"'.

Anche La storia dei bimbi e delle stelle inizia con il narratore che dichiara la veridicità della storia e accenna a personaggi, luoghi, situazioni del racconto, alludendo e spiegando, con anticipazioni e ammiccamenti. E la storia delinea una cosmogonia che non sarà poi estranea alla Morante della maturità. Vi si dice che ogni stella ha caratteristiche particolari:

 In una abita il mago Rabbuffo, che dirige tutte le scuole del mondo e consiglia ai maestri di dar molti zeri; in un'altra abita lo spiritello Micci, che sorveglia gli alberi della Cuccagna. Nella luna, poi, abitano le fate.19

        Queste un tempo andavano tranquillamente per il mondo in piena libertà e felicità, ma poi gli uomini . cominciarono a catturarle per chiuderle in gabbia e tenerle nei salotti per ornamen­to, come adesso si fa con gli uccelli. Sapete, - precisa la narratrice - gli uomini non possono permettere che le creature piccine e deboli vivano tranquille.20

 E così a un certo punto le fate

 fuggirono perché erano stanche di questo mondo catti­vo. Figuratevi che dovvano rimanere tutta la vita dentro una gabbia. Spesso venivano delle signore smorfiose, che le guardavano con l'occhialino, e allora le piccole fate dove­vano fare inchini a destra e sinistra, e dondolarsi in un modo veramente ridicolo21

 - e questa potrebbe anche essere la descrizione di certe attuali trasmissioni televisive con i bambini indotti a esibirsi nei più atroci scimmiottamenti.

Le fate dunque si stancarono, chiesero l'intervento dei topi perché rosicchiassero le gabbie, e si rifugiaro­no sulla luna. Tutte, tranne una, la più piccola, la più distratta, che si attarda nel volo come Cappuccetto Rosso nel bosco e arriva a destinazione quando la Luna ha già da tempo richiuso la bocca. Si rifugia quindi su di una stella sulla quale si trova un grande giardino: in questo giardino ci sono innumerevoli fiori che diventano bambini non appena un essere magico soffi su di loro.

 I bambini che chiacchierano sempre con la loro vocetta fresca erano convolvoli (...). I bambini vanitosi e leggeri erano gelsomini, certe bimbe dispettose che pungono sempre erano piante d'ortica, e i bambini piagnucolosi e malinconi­ci erano fiori d'amaranto, e quelli pigri e sonnolenti erano papaveri, mentre le bimbette come Mimma, che sono tanto graziose e tanto timide, erano viole mammole;22

 e basta che il magico artefice soffi sui girasoli per dare vita a "bambini tronfi e superbi, pronti a diventare personaggi occhialuti e panciuti"23 - e il fatto che di questi ultimi ce ne siano tanti, come chiunque può vedere, si spiega con la ragione che, essendo inevita­bile che all'appassire di un fiore nel gran giardino corrisponda la morte di un bambino sulla terra e volendo la fata impedire disgrazie, i girasoli finiscono con il diventare sempre bambini prima perché si notano subito, a differenza per esempio delle viole mammole, cioè le bambine timide e graziose, che sono invece "i fiori che appassiscono di più". L'essere magico che presiede alle trasformazioni è Ultimafata, la fata esclusa dalla Luna, che affida i bambini ad una laconica e sempre stanca Cicogna perché li consegni alle madri che sulla terra ne abbiano fatto richiesta.

 Più che la prosecuzione delle vicende - peraltro molto articolate, fitte di eventi e di personaggi, e che si concludono con la nascita della bambina attorno alla quale la vicenda si è sviluppata - mi interessa qui evidenziare come questo racconto, senz'altro meno riuscito della storia di Caterina, contenga comunque elementi importanti e non trascurabili anche in rap­porto agli sviluppi successivi del lavoro di Elsa Mo­rante. Inoltre si tratta forse della storia in cui mag­giormente compaiono elementi rintracciabili in altre opere della cosiddetta letteratura per l'infanzia - e poco importa che la Morante le conoscesse o meno­: dalla bambina che entra nel nido dell'usignolo come la Alice di Carroll, alla rondine che wildianamente muore trafiggendosi e strappandosi il cuore per la­sciarlo alla rosa di cui è innamorata; dal folletto Tartaglia che come Franti ha la colpa di ridere, alle quattro pinocchiesche colombe nere che portano la bara della maga morta; dal perfido moscone hoffmanniano che ha fatto morire la maga, al penti­mento dello stesso moscone, pentimento che lo fa diventare bambinaia così come il terribile orco del Romanzo delle mie delusioni24  di Sergio Tofano si dà al vegetarianesimo e dedica all'infanzia tutto se stesso e le proprie ricchezze da quella volta che ha fatto una memorabile indigestione di scaloppine di neonati al madera.

Inoltre, e soprattutto, ne La storia dei bimbi e delle stelle, ci sono numerose consonanze con il Peter Pan di Barrie. Certo, le differenze sono sostanziali, ma anche la stella del grande giardino è una specie di Paese-che-non-c'è dove i bambini sono "senza cuo­re", e Barrie scriveva dei bambini come di esseri "al­legri. innocenti e senza cuore". Quando sulla stella un fiore appassisce muore un bambino sulla terra, e nel Paese-che-non-ç'è di Peter Pan se si respira un adulto muore. E Mariolina, la bambina protagonista del rac­conto della Morante, proprio come la Wendy di Barrie, finirà per scegliere la madre e lasciare per sempre quel mondo incantato; e Daddo, bambino strafottente e bellissimo che ha molti tratti in comune con Peter, alla fine per Mariolina non sarà più che un lontano ricordo, visto talvolta nei sogni, ma sempre più pallido, "molto vicino a svanire",

Ma nonostante questo, e altro ancora, in tutto quello che Elsa Morante ha scritto per i bambini il dato principale è che ha scritto con un timbro lontano da qualunque moda o modello; certo, non è la scrittura prodigiosa dei libri successivi, ma è comunque una scrittura che si caratterizza come assolutamente personale e tanto libera, nella sua levità, da suonare eversiva rispetto alle ridondanze degli "eroismi", eci fanatismi e delle grettezze del periodo.

Farò anche una esemplificazione, senza aggiunge­re troppi commenti: in una pagina de "Il Cartoccino dei Piccoli" del 13 maggio 1934 compare, di Elsa Morante, un testo in versi intitolato Ninna nanna della vecchietta. Accanto a questa ninnananna, nella stessa pagina, c'è un testo con le rime, di Yole P., intitolato Mallino, che dice:

Fra le carezze dell' erba molle,

i fiori levano le lor corolle.

 I campi dicono: "La luce d'oro

torna a brillare sul pio lavoro".

L'onde sfavillano, già il sole appar,

ridono il cielo, la terra, il mar.

 E poi Pin e Drin, di Titita Zamarra, che si rivolge ai due bambini del titolo e s'interroga:

 E ora, chi me le dà, per voi, le parole più belle'!... Potrei chiederle alle stelline, che la notte narrano luminose leggen­de, ma non oso... Allora scenderò tra poco, Pin e Drin, nel giardino più bello di Venezia, nel giardino dove i fiori sono gemme e la ghiaia è brillantata, e l'erba fremendo canta... Allora scenderò nel più bel giardino di Venezia e... penserò a voi.

       Le parole più belle? - Mamma. Amore. Italia. Re. Duce. Fede. Camicia nera.

È stata l'erba dell'incantato giardino veneziano a canta­re, fremendo così... Io, tendendo le orecchie, ho raccolto questi pochi vocaboli e li ho scritti, per voi...

 Ma sì, Pin e Drin! Ve lo prometto. Presto vi condurrò con me nel più bel giardino di Venezia dove i fiori sono gemme e la ghiaia è brillantata e l'erba cantando suggerisce le parole più belle, le parole più soavi.

 La Ninna nanna della vecchietta di Elsa Morante dice fra l'altro:

 (...) Nel paese delle vecchiette

 ci sono tante cuffiette.

e calze, calzette, scaldini,

 gatti furbi, vecchi camini.

Nanna o, nanna o,

la sua cuffietta dondolò

la vecchina s'addormentò.

 

(...) E fate coi cappucci rossi,

gnometti a cavallo degli orsi,

tanti fiori e nastri e conchiglie

 e le sette meraviglie.

e l’orco che s'è fatto buono

 e tanti campani d'oro.

Nanna o, nanna o,

la sua cuffietta dondolò

la vecchina s'addormentò.

 

E ci sono tanti bimbi

che non sanno soffiarsi il naso

 e un gran fazzoletto cifrato

e casine coi comignoli.

Ci sono castagne secche

c tante buone frittelle

da cuocere sotto il camino:

dieci per ogni bambino.

 

Nanna o, nanna o,

la sua cuffietta dondolò

la vecchina s'addormentò.

  

Credo che davvero non ci sia bisogno di commenti. Vorrei soltanto dire, per tutti coloro che siano lì pronti con il dito alzato a sentenziare che cuffiette e castagne e fate e gnomi altro non sono che evasione, vorrei dire che sì, ebbene sì, proprio di evasione si tratta. Ma vorrei anche aggiungere che di fronte alle prigioni della mente la prima necessità - etica, culturale, politica - è proprio la più radicale delle estraneità, la distanza siderale, l'essere totalmente altro.

In quei tempi di rimbombanti certezze Elsa Moran­te si è trovata a volare altrove, e precisamente nel proprio sentire e nel proprio immaginare; e ha conclu­so una storia "di evasione" come quella del giardino sulla stella con la narratrice che spiega come Ultimafata vada spesso a trovarla e la tenga informata di quel che succede lassù - senza nasconderle l'ottima condizio­ne dei girasoli, cioè i bambini tronfi e superbi, che diventeranno personaggi occhialuti e panciuti - e le indichi sempre la stella del giardino,

 che è quella più splendente, ma qui succede un gran pasticcio, perché, mentre per me la stella più splendente sta ad oriente, quella di Mariolina è ad occidente, e quella di Bebi a settentrione. Così, per metterci d'accordo, abbiamo finito per concludere che ognuno ha una sua stella partico­lare.

 E questa, a me, sembra una conclusione antifasci­sta, profondamente antifascista. "Del resto," - dice l'ultimissima frase de La storia dei bimbi e delle stelle, frase che io prendo per attaccarla alla mia affermazione, anche perché rinvia perlomeno a L'isola di Arturo ­

 se questa conclusione non vi persuade abbastanza, po­tete scrivere, per chiedere schiarimenti, al "Giardino Me­raviglioso, Piazza delle Stelle, Paese dei Sogni (Estero)".

 È probabile che io abbia scambiato qualche sputo per una stella; è molto probabile, e in ogni caso so bene di avere anche messo in atto qualche forzatura. Vorrei però andare tino in fondo, e quindi in qualche modo protestare contro l'esclusione dall'edizione Monda­dori delle Opere di tutti gli scritti per bambini. È vero che Elsa Morante, come viene detto nella Prefazione, "ha provveduto a fissare il canone delle proprie opere limitandolo ai libri da lei stessa pubblicati in vita", ma a me viene anche da pensare che i suoi scritti per bambini pubblicati in rivista fossero per lei un po' come il primo degli undici figli del racconto di Kafka,

 fisicamente poco appariscente, ma serio e intelligente, pure non ho molta stima di lui, benché, come figlio, lo ami come tutti gli altri. Il suo modo di pensare mi sembra troppo semplice. Non guarda né a destra né a sinistra, né in lontananza, compie continuamente il periplo della ristretta cerchia delle sue idee o meglio vi si aggira dentro.25

 In ogni caso la storia di Caterì dalla trecciolina è un libro, un libro importante, e pubblicato lei viva. Un libro che mi sembra importante non dimenticare.

Tantopiù che nella cosiddetta letteratura per l'in­fanzia dell'Ottocento italiano c'è stato Pinocchio; in questo nostro secolo nulla. O meglio: ci sono stati autori significativi e alcuni buoni libri, ma soprattutto ci sono state due grandi occasioni perdute, spazzate via dalla congiura congiunta di biologia e storia. Una è stata quella di Silvio D'Arzo; l'altra quella di Elsa Morante, la quale non ha potuto continuare a scrivere per l'infanzia, ha potuto scrivere di infanzie.

Ma negli scritti di Elsa Morante per i bambini ci sono elementi - e questo merita e richiede studi specifici - completamente suoi, mai rinnegati e anzi in seguito ripresi e dispiegati dentro i flutti abracadabranteschi delle prodigiose narrazioni della maturità. Inoltre si tratta di documenti preziosi a memoria di un tempo che poi la cammella cieca e il paese di Pitchipoi, la pesantezza e il drago notturno dell'irrealtà faranno passare per il camino. 

Negli ultimi tempi della sua vita Elsa Morante diceva che da giovane le era piaciuto credere che l'infanzia, l'innocenza dell'infanzia non sarebbe cam­biata mai, e che invece tutto era orrendamente cambiato, e non restava più nulla, nemmeno di lei stessa, di quel che era un tempo.

Elsa Morante aveva anche affermato di preferire l'amicizia dei ragazzini, essendo essi "i soli che si interessano alle cose serie e importanti"26, e l'infanzia è stata sicuramente per lei un'entità favolosa e mitica, la possibile salvezza del mondo; ma questo sempre con la dolorosa consapevolezza della non estraneità dell'infanzia alle conseguenze della congiura congiunta di biologia e storia. Infatti, anche là dove diceva che il ritrovamento parziale dei piaceri che ornavano le feste dell'Eden perduto era concesso "agli adulti della spe­cie umana durante la primissima infanzia dei loro nati"27, subito precisava che comunque "su questi, purtroppo, ad ogni giorno che passa, sempre più l'al­bero della scienza del bene e del male stende la sua ombra".28

L'infanzia favolosa avrebbe potuto salvarlo, il mondo; ma lo "stupro innominabile"29, praticato an­che sull'infanzia storica, è tale da avere investito anche l'infanzia favolosa: "per ciò che era stato fatto alla madre di Davide" era ormai come se tutta l'infan­zia del mondo fosse stata "devastata in eterno, e tutte le creature stuprate nei loro nidi"30.

 Chiuderò con un'annotazione "personale", improntata al più disperato ottimismo e senza preoc­cuparmi troppo del rischio di scambiare sputi per stelle. Quelli di Elsa Morante sono libri della mia bibbia: tutti. Chiamo grande anche quello di minore grandezza, La Storia. E considero, a parte Il mondo salvato dai ragazzini, considero forse Aracoeli il ri­sultato più alto. Ebbene: forse perché, avendo accanto un mio nato nella sua primissima infanzia, sto provan­do i piaceri dell'Eden perduto, o forse perché avendo a che fare ogni giorno con infanzie storiche mi è consentito di intravedere anche in esse almeno qual­che eco favolosa, voglio sottolineare che pur dentro la (…) di Aracoeli c'è un personaggio "positivo", ed è il ragazzino Pennati, tenero e tenace, appassionato e ribelle.

È molto probabile che per il mondo non ci sia salvezza, e che anche l"'allegra impubertà senza sto­ria"31 dei pazzarielli e l'utopia come motore del mon­do debbano essere annoverate tra le leggende o tra le fiabe. Ma queste sono vere e - soprattutto se a rac­contarle è un cantastorie che, cammina cammina, ci accompagna - non si dimenticano. Certo, e lo vediamo bene,

 

tutte le città della terra sono un'unica, maledetta

congrega contro i ragazzetti celesti32

 

e le fanciullezze sulla terra

 

sono un passaggio di barbari divini

col marchio carcerario della fine già segnata33;

 

ma queste crudeli verità, se si voglia cercare qual­che senso al nostro essere qui, prima ancora che configurarsi come sentenze, si configurano come aperture su nuove domande.

 


1 E. Morante, La Storia, in Opere, a cura di C.Cecchi e C.Garboli, Mondadori, Milano.

2 Cfr. Cronologia, in E. Morante, Opere, cit., voI. I, 1988, p. XX. 3) M, p. XXVI.

3 Ivi, p. XLV

4 E. Morante, Le straordinarie avventure di Caterina, Einaudi, Torino 1985, p. 83.

5 lvi, p. 12.

6 Ibidem

7 Ibidem

8 Ivi, pp. 20-21.

9 Ivi p. 53

10 Ivi p. 54

11 E. Morante, Opere, cit., voI. I, pp. 20-21.

12 E. Morante, Le straordinarie avventure di Ca/erina, cit., p. 71.

13 Ivi p. 73

14 Ibidem

15 S. D'Arzo, L'isola di Tusitala, in Nostro lunedì. Racconti poesie saggi, Vallecchi, Firenze 1960, p. 387. Ora anche in S. D'Arzo, Contea inglese, Sellerio, Palermo 1987.

16 Ibidem

17 Ibidem

18 E. Morante, Le straordinarie avventure di Ca/erina, cit., pp. 55­.

19 E. Morante, La storia dei bimbi e delle stelle, cap. I, in "Corriere dei Piccoli", 5 marzo 1933.

20 Ibidem

21 Ibidem

22 Ibidem

23 Ibidem

24 Uscito a puntate sul "Corriere dei Piccoli" nel 1917 e poi in volume, presso Mondadori, nel 1925. Cfr. ora S. Tofano, Il romanzo delle mie delusioni, Einaudi, Torino 1977.

25 F. Kafka, Undici Figli, in Racconti, Mondatori, Milano 1970.

26 Cfr. il risvolto di copertina della prima edizione de Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, Torino 1968.

27 E. Morante, Il Paradiso terrestre, in Opere, cit., voI. Il, p. 1475.

28 Ibidem

29 E. Morante, AracoeIi.

30 E. Morante, La Storia, ivi, p. 980.

31 E. Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, ivi, p. 119

32 Ivi p.18

33 Ivi p.20