I maestri della lettura

Omaggio a Giuseppe Pontremoli

Atti del convegno

Sabato 16 aprile 2005

Spazio Biblioteca Internazionale DOCET

Bologna, Fiera del libro per ragazzi

Enti promotori

Centro Regionale di Documentazione Biblioteche per Ragazzi

Regione Autonoma della Sardegna

Provincia di Cagliari

In collaborazione con:

Nuove Edizioni Romane

Giunti Editore

Libreria per ragazzi Tuttestorie, Cagliari

Relatori

Roberto Denti, Giuseppe Pontremoli maestro e scrittore

Fulvio Panzeri, Elogio delle azioni spregevoli (presentazione sintetica del libro e dei principali nuclei teorici)

Celeste Grossi École e la rubrica “Leggere gli anni verdi”

Walter Fochesato, Gabriella Armando, Claudio Saba e Octavia Monaco presentano “Ballata per tutto l’anno”, Nuove Edizioni Romane, 2004

 Lettori:

Riccardo Diana e  Beniamino Sidoti

  Coordina:

 Teresa Porcella, docente di letteratura per l’infanzia, Università di Cagliari

 


Teresa Porcella:

   Benvenuti a questo incontro dedicato a Giuseppe Pontremoli. E' un incontro che ci vede numerosi e che idealmente vede presenti qui con noi anche le persone che non hanno potuto esserlo, in particolare Pino Boero e Matteo Faglia, i quali hanno inviato entrambi una nota scritta. Oggi si parla tanto della lettura, di piacere della lettura, di promozione della lettura; si parla poco invece di chi, come Giuseppe Pontremoli, ha attraversato in modo appassionato e inedito la pratica della lettura per comunicare con quelli che erano i suoi interlocutori abituali, cioè i bambini. Giuseppe Pontremoli era un maestro che ha fatto del suo mestiere e di questa pratica qualcosa di più di un momento diciamo così lavorativo: era il suo modo di essere, era un maestro nel vero senso della parola, perché sapeva ascoltare oltre che leggere; era questa la sua grande capacità, aveva il grandissimo dono di lasciarsi attraversare dal dialogo con i bambini, questa era la sua grandissima forza.


   Abbiamo voluto dedicargli un incontro qui alla fiera di Bologna, nello spazio Docet, un po' anche per rompere questa barriera che è stata creata tra Docet e la Fiera del libro, per cui chi sta da questa parte, teoricamente, non dovrebbe stare dall'altra. Abbiamo voluto invece che si stesse qui, e si parlasse di un uomo che è stato scrittore, che è stato lettore e che è stato maestro: perché questi due spazi devono comunicare. Prima di proseguire volevo anticiparvi che i relatori qui presenti vedranno i loro interventi inframmezzati dalla lettura di brani di Pontremoli: visto che era un lettore e che era uno scrittore, ci è sembrato che il modo giusto di stare insieme a lui oggi fosse proprio quello di risentire le sue parole.
Partirei con la lettura dei due interventi che sono stati inviati da Pino Boero e da Matteo Faglia. Pino Boero scrive:

Pino Boero:

   "Non voglio parlare di Giuseppe Pontremoli al passato, voglio, invece, ricordarlo per due occasioni fra le tante di incontro con i suoi scritti che ho impresse nella memoria; la prima riguarda "Rossoscuola" e la sua rubrica "Leggere gli anni verdi": era la fine del 1988 (un secolo fa!) e il giovane maestro Pontremoli mi aveva invitato a collaborare alla rivista dove già teneva la rubrica memorabile "Leggere gli anni verdi", chiedendomi qualche contributo "provocatorio", capace di gettare un sasso nel famoso stagno rodariano... Non so se i miei pochi pezzi sulla rivista siano stati tali, so solo che i suoi, precisi, intriganti, dotti nella loro semplicità, mi catturavano e davvero contribuivano a dare un senso alto al mio, al nostro lavoro; Pontremoli passava con leggerezza da una conversazione fra madre e figlia colta al volo sul tram alla presentazione di Ciao, Andrea di Marcello Argilli e legava il suo ragionamento con quella forza utopica che appartiene agli autentici educatori e che vale la pena qui citare:

   "Se la casa fosse un luogo da cui si può scappare senza essere presi di mira dalle sentinelle; un luogo in cui tornare con piacere, per scelta e non per abitudine o per mancanza di scelta; un luogo in cui svegliarsi e non la tana nella quale ci si difende dal mondo facendo di sé una tana dentro la tana; sarebbe forse un luogo nel quale poter vivere davvero. Ma forse questo è possibile solo in presenza di rapporti che siano scelti liberamente, senza automatismi e coercizioni, e questo non accade troppo spesso, al contrario di quello che si dice. E per quello che riguarda lo scegliersi, ad esempio, i genitori, accade solamente nel giorno di San Giammai, al primo canto del gallo. Oppure in un romanzo molto bello di Marcello Argilli..."

   Ma voglio passare alla seconda occasione; possiedo ancora in biblioteca la prima edizione nei Libri per ragazzi di Einaudi di Le straordinarie avventure di Caterina di Elsa Morante (edito nel 1959) e più volte mi ero chiesto perché qualcuno non sistemasse i racconti per l'infanzia della scrittrice; fu una bella sorpresa nel '95 trovare in libreria per Einaudi Ragazzi Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina e altre storie, ma fu sorpresa ancora più felice trovare - caso credo unico nella collana "Storie e rime" - l'indicazione "a cura di Giuseppe Pontremoli" e leggere una densa postfazione dal titolo La preistoria di Elsa Morante, che mi colpì non solo per l'acutezza e l'acribia critica ormai consueta, ma anche per l'apertura che rileggo ora:

   "Questo libro vorrebbe essere un gesto d'amore. Un gesto d'amore per Elsa Morante, raccontastorie prodigiosa..."

   Gesto d'amore è stato anche quello di Pontremoli verso i suoi lettori: ha trasformato il consueto e la quotidianità in un magico incanto di parole ed è per questo che il legame con la sua figura di Maestro, per quanto "affaticato dal tempo", resta in me solido e tenace."
                                                                                                                                            Pino Boero

Teresa Porcella:

   Ascoltiamo ora l'intervento inviatoci da Matteo Faglia, che sarà seguito dalla lettura di un brano tratto dal romanzo Il mistero della collina, che è stato il primo e ultimo romanzo pubblicato da Giuseppe Pontremoli:

Matteo Faglia:

   "Grande divoratore di letteratura, Giuseppe amava la lingua come materia prima da plasmare e da utilizzare per quella che riteneva la più nobile delle arti: raccontare storie.
Per vivere intensamente questo rapporto con la parola, Giuseppe ha privilegiato senz'altro il ruolo di lettore, ma non si è sottratto al richiamo della scrittura, pur non arrivando mai a ritenersi, e quindi ad essere, uno scrittore.
Qualche tempo dopo la pubblicazione per Giunti del
Mistero della Collina, il suo primo ed unico romanzo per ragazzi, gli chiesi: "Quando mi dai un altro testo da pubblicare?" La risposta fu: "Perché me lo chiedi? Vuoi dire che ne può valere la pena?"
La sua visione della letteratura era legata ad un forte senso di "necessità" che lo rendeva estremamente selettivo. Il suo manifesto sembrava essere il seguente: le cose davvero buone sono poche e, soprattutto, sono già state scritte. Un concetto che, applicato alla sua dimensione di scrittore, diventava un atto di modestia assoluta.
Pretendeva molto da se stesso, forse troppo. Ma essendo anche molto generoso, ha saputo illuminarci con una dote tanto umana quanto rara: l'intelligenza.
Grazie, Giuseppe."

                                                                                                                                         Matteo Faglia


Prima lettura. Beniamino Sidoti: da Il mistero della Collina:


   ..."Eh sì, al tempo dei tempi anche io sono andato a scuola... Il mio maestro arrivava sempre con le mani e le braccia tutte cariche di cose che barcollavano rischiando di cadere da tutte le parti: libri, mele, panini, una gran borsa, la pipa, gli occhiali, pennelli e un mucchio d'altre cose ancora. Quando riusciva a portarle tutte dentro l'aula le rovesciava sul tavolo e le metteva un po' in ordine, un po', mica molto, e si vedeva bene che ci metteva poco impegno e poi sembrava proprio che non ci riuscisse. A dire la verità sembrava quasi che lo facesse apposta a non riuscire, perché a volte certi oggetti che erano lì ben ordinati venivano sposati, urtati, fatti cadere, e lui li guardava con un sogghignetto malizioso. Poi, senza aver finito di mettere in ordine le sue cose, andava alla finestra, guardava fuori, ci chiamava tutti accanto a sé e diceva: <<Oggi impareremo delle cose nuove, molto importanti, ci vorrà molto impegno>>... Allora ci mettevamo tutti a sedere, lui infilava gli occhiali, prendeva in mano la pipa e cominciava: <<Tanti, tanti anni fa, il re delle nuvole era ancora un marmocchietto e viveva in grande amicizia con il re del sole>>. Oppure: <<Al tempo dei tempi, quando desiderare ancora possibile...>>. Altre volte cominciava così: <<Domenica mattina, alle sei del pomeriggio, navigavo tranquillo in cima ai monti con la mia barchetta>>. Oppure: <<C'era una volta una donna piccolissima...>>. E ancora: <<In un paese lontano lontano, oltre l'ultimo sogno visibile>>. Oppure: <<Si racconta che in un paese della Cina vivesse un povero sarto>>. E così via. E raccontava le storie di tutti i tempi e di tutti i paesi. E noi, attentissimi, stavamo come aggrappati alla sua voce, che ci portava sui mari all'inseguimento della nave fantasma; nel bosco incantato; nel castello orroroso di Rocca Lanzona; nella città degli specchi; nella locanda dello Spessart, alla ricerca del tesoro. E così incontrammo streghe e mari; gnomi e briganti; sirene e uccelli di fuoco; parole magiche e guardiani di porci; e Achab il capitano dagli occhi infuocati e la gamba d'avorio che inseguiva la balena bianca; e Long John Silver, il cuoco di bordo capo dei pirati; e poi Gavroche e Thénardier; e il signor Wegg e Oliver Twist, Alfanhuì, Huckleberry Finn, Peter Pan, Pinocchio, Alice, il Piccolo Principe, Mary Lennox, Schiaccianoci e il re dei topi, Don Chisciotte, Gulliver, Naftali, Harun, Palmiro Mezzanella, Penny Wirton e il cieco...
Animali parlanti, aquiloni, acque fatate, uccelli, uomini e donne mai stanchi di darsi da fare per essere liberi, per essere finalmente felici.
Questo è tutto quel che ricordo di lui, e mi viene in mente soprattutto quando mi sembra di potere aiutare qualcuno. In quei momenti mi metto a fischiettare, mando in giro qualche giraffa ballerina e porto a casa tassisti in difficoltà.
Sì, sono stato io, ma non posso certo dirvi come ho fatto. È un segreto professionale; e poi è finito il capitolo..."


Teresa Porcella:

   E allora credo che sia già chiaro il nucleo di pensiero che ne viene fuori: il pensiero narrativo è più forte del pensiero improntato all'informazione; è uno dei temi ricorrenti dell'ultimo libro di Giuseppe Pontremoli, l'Elogio delle azioni spregevoli, dove il refrain è questo: le storie hanno una grande forza, rivelano i significati senza commettere l'errore di definirli, cioè di circoscriverli. Questo potere fecondo delle storie è ciò che gli ha consentito di essere maestro e scrittore ed è il tema di cui ci parlerà ora Roberto Denti.

Roberto Denti:

    Maestro, Giuseppe Pontremoli, e non insegnante; maestro che riteneva di aiutare i bambini ad imparare, non a insegnare qualcosa; Maestro, in questo caso possiamo dirlo con la M maiuscola, che ha portato nell'attività in cui credeva profondamente, in cui si divertiva sempre, il suo pensiero, che è un pensiero di libertà, di libertà totale. Non a caso a Milano, ha sempre fatto riferimento alla libreria Utopia, conosciuta come la libreria degli anarchici, gente come sapete pericolosissima, che mette le bombe e via dicendo. A parte gli scherzi, il pensiero di Giuseppe Pontremoli è un pensiero libero, lui ha cercato, attraverso e non solo i suoi scritti, questa libertà, e quando ascolterete le Poesie dei Mesi capirete che cos'è il senso continuo di questa offerta di "essere in grado di essere liberi".
   Essere liberi non si può insegnare, è un comportamento, e il suo comportamento è stato quello; non a caso in una delle prime pagine del suo ultimo libro cita Enrich Boll, che dice che "
leggere diverte, ma può farti libero e ribelle"; questo è il suo senso del racconto, dell'amore per le fiabe, che sono un grande elemento di contestazione, e di tutte le storie: e in questo c'era la sua profonda cultura.Una cultura che era diversa dalla nostra, almeno dalla mia, io non sono credente, e neanche lui lo è stato - era un bell'ateo di quelli precisi -, ma aveva in sé questa profonda cultura atavica della libertà di Mosé, e forse senza volerlo l'ha trasmessa e se l'è portata dietro, questa libertà che è modo di essere e che se non è un modo di essere non si può trasmettere ai bambini o agli altri: ...e lui era un modo di essere, questo modo libero, pericolosissimo.

   Penso che non a caso, nei programmi Moratti - che speriamo per tante ragioni crollino su sé stessi in un modo ignobile, nel modo come meritano... -  per la scuola elementare non si parli di lettura, perché può sempre saltar fuori, al livello di Giuseppe Pontremoli o a un livello se vogliamo più "normale", un maestro che attraverso il libro può far capire ai bambini che anch'essi possono diventare degli esseri liberi.
   A volte faccio un gioco con i bambini, so che la parola "libro" non ha nessuna attinenza con la parola "libertà" (
libro deriva da corteccia), però a volte parlando con loro un po' li imbroglio e gli dico che la parola "libro" ha quantomeno la stessa iniziale della parola "libertà". Bertolt Brecht dice "impugna il libro e combatti"; questo ha fatto l'amico Giuseppe, e l'ha fatto costantemente e l'ha fatto dimostrandoci che si può farlo, che si può evitare di usare quell'ignobile libro di lettura di testo, che è una coartazione della libertà del bambino, della sua capacità di sviluppare curiosità e interesse. Accettiamo allora che ci sia chi ci indichi la strada e poi la proseguiremo come ciascuno di noi ritiene di poterlo fare. Giuseppe Pontremoli ci ha indicato questa strada e credo che per questo tutti noi lo ringraziamo.

Teresa Porcella

    Ringraziamo Roberto Denti per questo bellissimo intervento. Sempre nell'Elogio Pontremoli ricorda che l'avvicinarsi ai libri è sempre un avvicinarsi a qualcosa che è problematico, e che suscita problemi. E' vero che se i libri li cerchiamo per dare risposte abbiamo forse sbagliato l'approccio, per dare risposte ci vogliono menti ricettive, per fare domande ci vogliono menti creative: e il libro è questo, bisogna arrivare a farsi domande...
Ascoltiamo ora Riccardo Diana che leggerà un brano dell'Elogio


Seconda lettura, Riccardo Diana, da Elogio delle azioni spregevoli:


   "Si oscilla spesso - maestri, genitori - tra due modi di porsi in rapporto ai bambini. Da una parte sta la schiera dei burrosi che, in un'orgia di diminutivi e leziosaggini, bamboleggiano tristamente e ridicolmente e comprimono i bambini in un preteso "mondo dell'infanzia" intollerabilmente falso; dall'altra sta l'armata dei seriosi pontefici, torrenziali e cupi elargitori di sentenze che non sanno vedere altro che sé - un sé imperiale, invasore, cui l'altro deve solo assoggettarsi. Eppure l'infanzia è un tempo non eludibile della vita di ogni uomo e dovrebbe essere considerata come tale. E si dovrebbe acquisire come qualcosa ben provvista di senso quella che solo apparentemente è una sciocca tautologia: i bambini sono bambini.
   Questo, però, avviene soltanto raramente: tra i due blocchi valoriali e comportamentali costituiti da pigrizia-cinismo-razzismo da una parte e conoscenza-solidarietà-apertura dall'altra, è oggi sempre il primo a prevalere. Eppure, davvero, i bambini sono bambini e nient'altro. Non sono adulti; non sono piccoli adulti; sono solo (solo?) esseri umani che percorrono un tempo specifico del loro essere, camminando camminando, esseri umani. E questo loro tempo specifico è un tempo in cui i confini tra quel che si vuole e quel che si respinge sono davvero netti, e maggiori che in ogni altro tempo sono la permeabilità e la disponibilità, grandi almeno quanto grande è la severità nel giudicare. Chi fosse disposto ad accantonare pregiudizi, cecità e intenti colonialistici vedrebbe che i bambini sono tutt'altro che impermeabili e impenetrabili; si potrebbe anzi dire che siano in generale piuttosto spalancati e spugnosi, pronti a lasciarsi riempire e impregnare - con ingordigia, anche, avidi di tutto. Per le "rivelazioni" è un tempo in cui la luna è nella fase giusta. È dopo, è dopo aver avuto che rigettano, che espellono il superfluo e il flaccido, l'informe; è dopo che lasciano cadere le aperture, che la spugna rinsecchisce e s'aggrinza.
   "Vivere è una faccenda molto pericolosa", dice ripetutamente il jagunço Riobaldo di Grande Sertao di Joao Guimaraes Rosa; e lo si scopre tutti, e non solo per gli inevitabili inciampi nelle insidie, nei trappoloni biologici e storici, più e più volte. Anche i bambini. Malattie, sbucciature, ferite, schiaffi, sgridate, maniglie irraggiungibili, silenzi; e poi il buio, la pioggia, l'arrivo di un fratello che si ruba la mamma, e la biglia caduta nella grata, l'amico che non viene, le figurine perse, la paura, le strade impraticabili, minacce di vicini, amici che ti "staccano la pace", parole inascoltate, solitudini, complicità negate. La congiura di natura e cultura comincia molto presto e non si ferma più. E non c'è solo questo. Anche il "bene", il gioioso del vivere, il "pieno" del sentire e del godere contiene i suoi bei rischi, le sue insidie: l'immane difficoltà di capire e sapere come vivere. Dal ripetuto, insistito richiamo sull'imparare a vivere, non è difficile essere storditi e sentirsi spossati; si cerca allora un'ombra, ci si mette a sedere, e si sente più nulla.
   Spesso, quando un bambino piccolo cade, succede che da terra guardi verso la madre restando un po' come in sospensione, quasi a cercare in lei qualche indizio - di serenità o di ansia - sul quale modulare il proprio andare oltre oppure soffermarsi, la ripresa o lo sfogo, qualche spia che indichi se è il caso di chiedere attenzione e conforto. È dopo questa esplorazione che decide di rialzarsi e riprendere il gioco, la corsa, oppure di piangere per chiedere così alla madre di andare ad aiutarlo. Molte volte, per fargli riprendere forza e fiducia, è sufficiente uno sguardo, qualche parola quieta, un fiato di rassicurazione; per avere efficacia, però, sguardo parola e fiato devono essere mossi, non dati una volta per sempre e ripetentisi in un manifestarsi tanto prevedibile quanto lontano. Soprattutto devono essere come modellati sulla situazione - non sulla condizione generalissima e quindi astratta di "bambino caduto", bensì su quella lì, di quel momento - e in questo modellarsi alla situazione di un bambino specifico è necessario che si metta nel conto anche l'eventuale inespresso, desiderio o paura che sia. Insomma, quel che conta è che sguardo parola e fiato siano dentro la vicenda, appartenenti davvero al rapporto - di quel momento - tra il bambino e la madre, tra bisogno e risposta al bisogno, tra disponibilità e disponibilità, tra sfida e abbandono.
   I bambini non hanno solo orecchie o solo occhi; hanno anche antenne, e possono anche esser prodigiose, che usano per captare e filtrare, fagocitare o respingere quel che gli ronza intorno. E se il bambino piccolo caduto osserva e spesso agisce proprio in conseguenza di quello che ha potuto captare con gli occhi e con le antenne, il bambino più grande non è che sia da meno - le antenne si perdono più tardi, quando ci si comincia a ritenere "grandi". È in tutto il tempo dell'infanzia che le antenne funzionano, e questa è una delle peculiarità; una tra le preziose, perché consente di fare un pieno ben denso di memoria, premunirsi di bagliori negli occhi, dotarsi di uno scrigno cui attingere poi anche in futuro. Dice Yair in "Che tu sia per me il coltello" di Grossman: "Almeno una volta al giorno qualcuno solleva la testa dalla pila dei libri e mi si avvicina. Dovresti vedere il suo sorriso mentre mi mostra quello che aveva cercato per anni! Quasi sempre si tratta di un libro che aveva letto durante l'infanzia, probabilmente questa è la sola cosa in grado di accendere una scintilla negli occhi della gente". E Aljosa Karamazov nel Discorso presso la pietra che chiude il romanzo di Dostoevskij: "Sappiate dunque che non c'è nulla di più alto, e forte, e sano, e utile per la vostra vita avvenire, di qualche buon ricordo, specialmente se recato con voi fin dai primi anni, dalla casa dei genitori. Molto vi si parla della vostra educazione, ma uno di questi buoni e santi ricordi, custodito sin dall'infanzia, è forse la migliore delle educazioni. Se l'uomo può raccogliere molti di tali ricordi e portarli con sé nella vita, egli è salvo per sempre. E quand'anche un solo buon ricordo rimanesse con noi, nel nostro cuore, anche quello potrebbe un giorno servire alla nostra salvezza".


Teresa Porcella:

  Ora passo la parola a Fulvio Panzeri. Vista questa immagine di bambino che è uscita fuori, bambino come individualità, nel senso che in realtà non esistono "i bambini", continuo invito di Giuseppe Pontremoli a evitare gli stereotipi sull'infanzia - questo mondo di orsetti coi grembiulini di cui parlava Peter Bichsel in Nel mondo ci sono più zie che lettori - ... questa immagine, dicevo, ci spinge anche a dire che non ci sono mondi dell'infanzia che siano staccati dalla realtà, che siano staccati dai bisogni di commercio con gli adulti; questo è il primo punto da cui partire per pensare a una nuova pedagogia, ed è di questo che ci parlerà Fulvio Panzeri...

Fulvio Panzeri:

    L'idea di lettura che emerge da Elogio delle azioni spregevoli ha una forte valenza educativa. Oltre all'affermazione della lettura come piacere, espressa in modo molto forte, Pontremoli procede verso la necessità di costruire, attraverso i libri, una carica emozionale che serva al bambino più degli apprendimenti. Si tratta dell'affermazione di un progetto educativo a tutto campo, un progetto che a partire dal leggere determina il bisogno di crescita. Pontremoli infatti afferma la necessità della lettura come strumento per mettersi in gioco, ma un mettersi in gioco soprattutto dal punto di vista umano, come strumento di comprensione e di discussione della realtà, attraverso l'ipotesi di una lettura che struttura come persone intere, una specie di tensione ideale e di mappa di riferimento per affrontare il gran mare della vita. La lettura, come viene presentata in questo libro, diviene quindi, attraverso il racconto, una dimensione interiore, una parte di sé e della propria crescita, quasi un valore insostituibile, un valore fondamentale; si impara attraverso la lettura a diventare uomini, proprio attraverso i mondi che vengono offerti dalla lettura, sia che la lettura sia un racconto ascoltato come lettura di una voce, che porta dentro il cuore di una storia, sia come esperienza solitaria e individuale che scopre i nervi di ciascuna avventura umana. Il piacere della lettura delle storie, e l'incanto che questa attività è capace di creare, mette in crisi per Pontremoli tutti i sistemi pedagogici e tutte le pseudo teorie che la moderna pedagogia crea e ritiene, soprattutto a scuola, che siano da praticare in assoluto: ...per cui è vero, in questo libro c'è esattamente questa dimensione della libertà di cui accennava Denti. 

   E' questo il messaggio forte che io vi ho trovato ed è il messaggio di fondo che ci lascia Giuseppe Pontremoli. Le azioni spregevoli cui fa riferimento, sono quelle che per anni sono state stigmatizzate nella rete del pregiudizio dell'apparato scolastico ed educativo e sono relative alla pratica del leggere libri e del raccontare storie inventate, considerate attività non di qualità ma di disonore da molti dirigenti scolastici. Pontremoli ci fa tantissimi esempi, anche attraverso figure letterarie, come quella del signor Gradgrind in Tempi difficili, bellissimo romanzo di Dickens. E' solo un esempio tra quelli che Pontremoli riporta nei vari percorsi di lettura di cui si costituisce il libro. Tra i più divertenti e significativi ricordiamo appunto quello a cui è stato già accennato, il rapporto "tra le zie e la lettura", un rapporto che è stato ricostruito in parallelo a quello tracciato da Peter Bichsel in un celebre saggio uscito negli anni 80 sulla letteratura dell'infanzia, una specie di paradosso proprio sulla ricezione della letteratura per i bambini. In questo percorso Pontremoli distrugge e insieme ci fa capire quelli che sono le convenzioni e i conformismi "delle zie" nelle scelte dei libri da far leggere ai bambini. Lo fa con un taglio diverso da quello di Bichsel; Bichsel era, come dire, fortemente ironico, in Pontremoli questa ironia prende un taglio anche beffardo e distruttore. Un altro percorso di lettura che c'è in questo libro è assolutamente divergente da certa retorica che a volte costruiamo intorno a questi temi, un percorso sulla pace e la guerra nei libri per ragazzi, con l'indicazione di tre titoli di riferimento: Rosa Bianca uno dei capolavori di Roberto Innocenti, Naftali di Singer, un altro libro straordinario, e ancora un libro molto bello che forse non esiste nemmeno in edizione per ragazzi, perché era uscito in una edizione per adulti, Harun e il mare delle storie del grande Shalman Rudshie. I tre protagonisti di queste storie, secondo Pontremoli, Rosa Bianca, Harun e Naftali, indicano una vera e propria condizione della pace. Perché, secondo Pontremoli sono privi di ipocrisie e di ideologia e di potere, forti soltanto del proprio sentire e delle proprie aperture, sono un po' come il vento, le stelle, come il mare. 

   Nel suo libro Pontremoli traccia anche una forte autobiografia... E ora non vi nascondo di essere un po' emozionato, perché questo è un libro che ho sentito molto, un libro che ha portato veramente nuova linfa nell'ambito della discussione sui temi della lettura, dopo anni in cui siamo andati avanti, anche noi giornalisti e critici, scrivendo, come dire, certo,  delle cose giuste, ma in qualche modo anche ripetendoci. Pontremoli di fatto ci ha suggerito delle strade assolutamente diverse, dei percorsi diversi, come dire l'unione tra il piacere e l'ideale, un invito a non fermarsi all'atto di dire che leggere è bello, leggere è piacevole, ma ad andare più in là e a dare una nuova motivazione al leggere dei bambini. Non solo una motivazione basata sul piacere, ma una motivazione basata sul bisogno di costruire sé stessi. Mi ha colpito molto, in questo libro, risentire parlare di due grandi modelli educativi e pedagogici, Don Milani e Pasolini, la cui lezione è stata assolutamente dimenticata in questi anni, una lezione che Pontremoli riporta invece in evidenza. 

   E' bene che adesso io non mi dilunghi, termino il mio intervento con un invito alla lettura del libro, però prima voglio leggervi quello che Pontremoli dice su Pasolini e su Don Milani, perché credo che sia uno dei grandi messaggi e una delle grandi eredità che ci ha lasciato:
"Per entrambi la dimensione pedagogica è una dimensione pervasiva, in cui quello che più di tutto viene evidenziato e individuato come valore è il portato personale, la componente emotiva ed affettiva, l'effettivo mettersi in gioco, l'esserci interi come persone intere fatte di corpo ed emozioni di tensione ideale e di dolore, personale e storico, fatte insomma del proprio multiforme e incomprimibile io".

Roberto Denti:

    Le parole dell'amico Panzeri ci invitano tutti a leggere o a rileggere l’Elogio delle azioni spregevoli, perché questo libro è così pieno di suggestioni, che non si finisce di coglierne di nuove anche rileggendolo. Volevo sottolineare un particolare: in questo libro Mario Lodi non è mai citato. Rifletteteci, Lodi non è citato, Rodari una sola volta… era il suo modo di pensare diverso a persone che hanno contribuito certamente allo svilupparsi della letteratura per ragazzi, ma che erano molto lontane dalla sua idea di libertà....

Teresa Porcella:

Aggiungerei qualcosa a ciò che ha detto Roberto Denti… Quello che colpisce nell'Elogio delle azioni spregevoli è un po' come un desiderio avverato, perché sono anni che si sente parlare indistintamente e anche con una certa noia di piacere della lettura, mentre sembra che usare la parola etica – etica della e nella lettura - sia brutta abitudine e sia meglio evitarlo. Credo che in qualche modo Pontremoli abbia richiamato l'attenzione sul fatto che parlare del piacere della lettura - che è un po' come parlare della pace, bisogna volere la pace, è un luogo comune, poi bisogna vedere come, e sul come cominciamo a confrontarci -, richieda anche di parlare di etica della lettura…. Pontremoli ha tracciato un percorso letterario molto serio e molto ragionato, che non è una semplice indicazione bibliografica, che pure esiste ed è sconfinata, è un libro ricco di percorsi, a saperlo leggere e a saperli ritrovare, ma parte da un assunto fondamentale, che in qualche modo il nostro compito di essere uomini e donne passa per l'auto strutturarci e come diceva lui per creare un commercio ben più che fecondo tra i desideri e la memoria, tra il prefigurato e il configurato… E questo commercio dentro noi stessi deve necessariamente passare all'esterno: la lettura è sostanzialmente questo, è il nostro commercio con gli altri, ancora più forte tra adulti e bambini laddove i bambini hanno una memoria corta e dei desideri lunghi e gli adulti vivono alla rovescia; è un rapporto di compensazione al quale i nostri stili di vita ci hanno disabituato, non c'è più il tempo per questo commercio… Allora credo che sia fondamentale ritornare a questo, mi sembra questo il nucleo forte di un libro che - forse dirò una cosa poca simpatica - per me vale molti Pennac...

Fulvio Panzeri:

     Io aggiungerei che proprio a livello di discussione sul tema della lettura, l’Elogio delle azioni spregevoli ha la stessa valenza che ha avuto negli anni 80 un libro fondamentale come Lettore e narrare di Peter Bichsel, che ha aperto una nuova strada… Credo che questo libro di Pontremoli rappresenti un punto fermo su cui lavorare nei prossimi anni…

Teresa Porcella:

     Direi anche che i temi di riflessione presenti nell'Elogio sono stati temi che Giuseppe ha tracciato sistematicamente nella sua attività non soltanto di maestro e di scrittore di libri, ma anche di scrittore per le riviste, che forse è stata la sua attività principale, la sua produzione come giornalista è stata altissima… Passerò ora la parola a Celeste Grossi, direttore della rivista école, ma prima vorrei leggervi ciò che Celeste mi inviò quando le chiesi un profilo della rivista, sono parole che mi hanno colpito molto. Dice Celeste che la rivista "école è uno spazio dove ipotesi azzardate e pareri divergenti possono fare cortocircuito con grazia”… Ecco credo che questa sia stata anche la misura degli scritti di Pontremoli…

Celeste Grossi:

    Finora non si è parlato di Giuseppe grande raccontatore, perché Giuseppe non era soltanto un grande lettore e un grande scrittore, ma era anche un grande raccontatore… Se chiudo gli occhi risento ancora la sua voce calda e bassa, la voce con cui cantava i libri… I lettori e le lettrici di école aspettavano sempre l'ultima pagina della rivista, sapevano che quella era la pagina in cui Giuseppe aveva parlato, in cui avrebbe suonato i libri, perché Giuseppe lo faceva in modo amorevole e armonico, in modo meraviglioso, creando un percorso incantato: Giuseppe costruiva storie fatte di storie, toccava con leggerezza i tasti della ragione e della meraviglia.

   Con la sua rubrica Leggere negli verdi prima su RossoScuola, dal 1987, e poi su école sino all'ultimo anno e alla sua ultima rubrica nel 2004, Giuseppe ha guidato maestri e maestre dentro un bosco di storie e ha creato dei percorsi di lettura con i quali accompagnare le bambine e i bambini nel crescere, accompagnarli a diventare delle donne e degli uomini liberi, delle donne e degli uomini di pace. Anch'io, preparando questo intervento, pensavo come Roberto Denti al fatto che Giuseppe era venuto a sapere da Henrich Boll che “leggere fa pensare, può farti libero e ribelle” e questo per Giuseppe era assolutamente essenziale. Giuseppe diceva, questa è una sua citazione,: “...raccontare storie ai bambini, aiutarli a crescere, aiutarli a imparare a vivere. Vivere. Crescere. Non: sopravvivere; non: trascinarsi; non: adeguarsi all’esserci consentendo comunque."  Anche questa è una citazione dell'Elogio delle azioni spregevoli. Per Giuseppe le bambine e i bambini sono dotati di qualità diverse, speciali, sono esseri umani interi; l'infanzia non è per Giuseppe un transito verso il futuro, uno stadio inferiore dell'essere umano. La passione per la letteratura e per l'insegnamento che si trova in tutto ciò che Giuseppe ha scritto, è una passione travolgente e contagiosa. Giuseppe è stato un maestro elementare da quando aveva vent'anni, è stato maestro per passione, non per ripiego, e come scelta di impegno civile, come scelta di impegno esistenziale, è stato un maestro di libertà e di pace. Giuseppe pensava, e lo scriveva, che fare scuola è un compito globale. Nella scuola italiana questo concetto è diventato estremamente impopolare, ad esso si va contrapponendo il tecnicismo e la didattica fine a se stessa. Giuseppe non voleva certo riproporre l'educazione contro l'istruzione, né tanto meno, come già è stato detto, un bambino tutto “fantasia intuizione e sentimento”… Però voleva sottolineare una convinzione assolutamente ferma, fermissima: "per le bambine e i bambini l'essenziale è che possano vedere qualcuno che ascolta, parla legge scrive dubita riflette si emoziona scava e non si accontenta e non si basta e scruta e scruta e racconta e racconta e cammina cammina; e tutto dentro la situazione, quella lì, con tenerezza e furia, con passione.”

Occorre un appassionato spendersi e giocarsi, mettersi in gioco come persona, completamente in gioco. Giuseppe temeva soprattutto gli effetti negativi di chi per delusione storica, per dolore privato, per frustrazione di una velleità personale, ha accettato ed eletto l'indifferenza a documento della propria identità. Temeva l'invincibile ansia di conformismo di cui parla Pasolini, e la rassegnazione, cioè una scelta di morte. A proposito della morte della scrittrice Astrid Lindgren, l'inventrice di Pippi Calzelunghe nel 2002 Giuseppe scrisse su école che si doveva ricordarla con malinconica allegria e con allegra malinconia e noi così oggi vogliamo ricordare lui. Giuseppe in école non è stato solo il rubricista di Leggere negli anni verdi, Giuseppe è stato fondatore di école, la terza serie della nostra rivista, quella avviata a gennaio 2001 é una sua creatura. Il ruolo di Giuseppe non si è mai limitato a quello di un redattore e nemmeno a quello, per noi preziosissimo, di essere una enciclopedia viva della letteratura a cui a volte attingere per meglio sostanziare le nostre scelte redazionali. Giuseppe è stato essenziale per decidere che tipo di giornale fare e a chi rivolgersi. E insieme a lui e grazie al suo tenace contributo che abbiamo deciso che la nostra sarebbe stata una rivista di idee per l'educazione, uno strumento di ricerca intorno al sapere che attraversa generi e generazioni, punti di vista; un luogo comune di donne e di uomini, uno spazio pubblico dove s'incrociano esperienze e storie di chi la scuola la abita nel cuore a partire da sé. Una rivista di frontiera, tra politica e linguaggi, tra rivendicazionismo e letteratura, né sindacale né didattica. E’ grazie a lui che ci siamo ostinati a farla con categorie di pensiero non stereotipate, che abbiamo esplorato curiosamente il vecchio con un atteggiamento laico, non di rifiuto a priori del nuovo. Con lui abbiamo deciso che avremo mantenuto una radicale estraneità ai disvalori dell'aziendalismo. Per noi, per Giuseppe gli studenti non sono degli utenti, sono degli abitanti, sono parte viva dell'ecosistema scuola, e gli insegnanti non sono soltanto degli strumenti di gerarchia e di tecnicismo come via via si sono affermati, soprattutto nell'ultima fase con la riforma Moratti e sempre di più anche nella scuola di base. E’ insieme a Giuseppe che abbiamo scelto che la nostra rivista avrebbe avuto uno stile narrativo che privilegiasse il racconto di chi la scuola la abita, delle relazioni tra le persone che nella scuola si intrecciano. Una rivista non auto referenziale che nel raccontare la scuola partisse da noi. Io ricordo una discussione con Giuseppe in cui a un certo punto aveva detto: “…dobbiamo guardare al nostro ombelico prima di scrivere”.

Giuseppe, anche quando in redazione parlava di una circolare ministeriale, raccontava una storia. Giuseppe ci manca molto, fortunatamente ha scritto tanto e grazie anche all'accurato e affettuoso contributo di Alberto Melis molti dei suoi scritti si possono oggi trovare sul sito www.giuseppepontremoli.it.  Chiunque di voi lo desideri, può chiedere all'indirizzo di école, coecole@tin.it , il cdrom che abbiamo preparato con tutto quello che Giuseppe ha scritto sulla nostra rivista. In questo cd troverete anche due cose che hanno a che fare con lui ma non appartengono direttamente all’esperienza di école. L'incredibile storia del cardellino dipinto, una lezione di letteratura, musica pittura e scienze naturali che Giuseppe ha preparato insieme ad Andrea Rosso, e una scelta di brani che Giuseppe aveva scelto per recitarli e leggerli nel Giorno della memoria.

Roberto Denti:

   Per chi non ha avuto la fortuna di conoscere Giuseppe volevo raccontare non un anedotto ma una storia vera, raccontata dal suo editore. Come sapete per la legge dell'editoria italiana l'autore è padrone del testo, non del titolo. Ricordo per esempio l’episodio capitato a Moravia con Bompiani, che gli fece cambiare il titolo di due romanzi, Lui e La Cosa, che Moravia aveva in realtà intitolato con i nomi degli organi sessuali maschili e femminili. Quando Giuseppe ha mandato all’editore questo libro, l’Elogio delle azioni spregevoli, gli ha detto: “Spero che gli interessi, in ogni caso il titolo non si cambia, ci pensi prima di leggere il libro...”.

Teresa Porcella:

   Passo ora la parola a Riccardo Diana che ci leggerà Rabbia Birabbia


Terza lettura, Riccardo Diana, da Rabbia Birabbia:

 

Rabbia Birabbia


Ho conosciuto un tale
ch'era sempre arrabbiato
per il caldo del fuoco
il freddo del gelato

perché c'era silenzio
perché c'era rumore
per il troppo profumo
per il cattivo odore

in inverno in estate
d'autunno a primavera
pomeriggio e mattino
a notte fonda a sera.

Un giorno s'arrabbiò
anche con la sua rabbia
e senza alcun rimorso
la chiuse in una gabbia

però ne tenne un mucchio
che mise in certe buste
per farne largo uso
contro le cose ingiuste.


Teresa Porcella:

    Rabbia Birabbia è stata la composizione che ha dato il nome al primo libro di Pontremoli, che possiamo oggi ritrovare integralmente nel volume Ballata per tutto l'anno e altri canti, di cui ci parlerà Gabriella Armando come editore. Poi apriremo una discussione, nei termini consentiti dal tempo a disposizione, insieme a Walter Fochesato, Octavia Monaco e Claudio Saba, sul rapporto, il contrappunto, diciamo così, tra testo e immagini in questo libro, che è un libro particolare, per fortuna non definibile né per grandi né per bambini, e forse già questo è un punto di partenza...

Gabriella Armando:

   Un maestro del nord, Angelo Petrosino, mi mandò un dattiloscritto con due righe dicendomi che c'era un altro maestro, che si chiamava Giuseppe Pontremoli, che aveva scritto delle poesie e voleva che io le leggessi; lessi le poesie di Rabbia Birabbia molti molti anni fa. Alla prima lettura vidi che erano delle poesie per bambini, nel senso che erano poesie per tutti, che dovevano essere pubblicate, non potevano non essere pubblicate. E così conobbi prima la voce e poi la persona Giuseppe Pontremoli, che ho visto pochissime volte nella vita. Realizzammo un primo librino, veramente molto piccolo, su un suo desiderio relativo alle illustrazioni: gli avrebbe fatto piacere essere illustrato da un tale Ma ticchio, che in quegli anni non era ancora noto e importante come è adesso. E così il piccolo libro fu illustrato in bianco e nero da Maticchio e ci permise di conoscere Pontremoli, che venne a Roma per vedere le bozze…

…E' nella correzione delle bozze che si conoscono gli autori e si conoscono gli uomini, gli esseri umani. Si possono approcciare queste situazioni con prosopopea, con ansia, con aggressività, con tanti atteggiamenti diversi. Giuseppe le affrontò con assoluta semplicità e umiltà, cosa che ci fa ricordare quei giorni come dei giorni ricchi di grandissimo piacere, il lavoro insieme su un libro di un autore e di un illustratore che non conoscevo e che poi di persona non ho mai conosciuto, e questa fu la primissima esperienza e il primissimo incontro. Passarono gli anni e alla fiera dell'altro anno, esattamente in questi giorni, mentre mi aggiravo nei corridoi di Docet, sentii una notizia a cui  mi sembrava impossibile credere. Dovetti crederci. Giuseppe Pontremoli a 48 anni se n'era andato in pochissimo tempo: e non mi sembrò una cosa sopportabile.

Un anno dopo siamo qui e la nostra casa editrice ha pubblicato un libro, ricordando Rabbia Birabbia, riproponendo Rabbia Birabbia, riproponendo queste poesie che erano un po' dimenticate e proponendo insieme ad esse un nuovo testo che Pontremoli ci aveva lasciato per farne un calendario e noi non eravamo riusciti a farlo questo calendario… Misi insieme questi versi, mi dissi che era l'unica cosa che potevo fare, per accettare che un uomo così intelligente, così delicato, se ne fosse andato prima di noi, e a questo punto rimisi questo testo alla persona che cura la grafica nella mia casa editrice, Claudio Saba,  e gli dissi: “Claudio, devi fare un libro bellissimo”.

   Claudio ci pensò un po' e disse: “Lo faccio illustrare da Octavia Monaco. Che ne pensi?”.  E Octavia Monaco, che è un nome importante, che è questa giovane signora seduta alla mia destra, che io ho visto due tre volte nella mia vita, fu contenta… Penso che avesse molto lavoro da fare, ma fu contenta e si dedicò totalmente a questo libro.

È nato un libro. Pensavo in questi giorni che con questo libro e con l'Elogio delle azioni spregevoli, entrambi difficilissimi da trovare in libreria - e quindi a Milano rivolgetevi a Denti, nelle altre città fate qualcosa, perché sono editi da piccoli editori, e quindi hanno difficoltà di diffusione, e però sono reperibili, con un po' di buona volontà – pensavo, dicevo, in questi giorni, per questo libro, a quanto la convinzione di un uomo si faccia carne. Quest'uomo di cui vi è stato raccontato con quel po' di agiografia che misteriosamente conduce la morte, questa cosa che è assurda da certi punti di vista ma da altri va accettata... cioè che la morte, alle volte, porta dei riconoscimenti che non ci sono stati in vita... 

Mi hanno raccontato che in vita Giuseppe soffrì tantissimo per arrivare alla pubblicazione del libro a cui teneva moltissimo e che è il suo testamento spirituale, L'elogio delle azioni spregevoli… Eppure vi è a volte questa incredibile giustizia delle cose, la morte gli ha portato la notorietà a certi livelli che non gli ha portato la vita, forse se fosse stato ancora vivo non saremmo oggi qui così in tanti... Ma va bene così. Perché va bene così? Perché con questi due libri riconosciuti dopo la scomparsa fisica di una persona, questa persona conferma la sua verità e la sua certezza,  che è nel libro, è nella storia bella che c'è dentro il libro e nella poesia in questo caso, e nella narrazione, nella riflessione che c'è nel libro…E’ in questo che ci può essere e che in questo caso c'è la vita...

Teresa Porcella:


Ringrazio Gabriella per queste parole, nelle quali credo ci sia davvero la storia importante di cosa significhi un libro e un uomo nei suoi libri. Passo ora la parola a Walter Fochesato, Claudio Saba e Octavia Monaco, che dovranno fare una sorta di canto e controcanto della Ballata... A tutti e tre propongo la stessa sollecitazione... Il contrappunto tra parole e immagini in questo libro è particolarissimo, bellissimo... Devo dire straordinariamente bello, un punto d'incontro tra la poesia delle immagini e la poesia delle parole, tra una prima parte, La ballata per tutto l'anno, questo calendario poetico, dove tutto fluisce in continuità, quasi raccontando il tempo, e una seconda parte, Rabbia Birabbia, dove abbiamo l'utilizzo non soltanto delle parole per esplicitare immediatamente dei significati ma anche, a volte, l'utilizzo del non senso, o del nonsense per essere precisi, che lui diceva essere per sua natura più imparentato al dissenso che al consenso, cioè a una forma evidente di libertà del pensiero, questa capacità non soltanto di eseguire un racconto lineare ma un racconto per paradossi...


Walter Fochesato:


   Io mi ero preparato, come si fa sempre in questi casi, alcune riflessioni sulla Ballata, ma confesso che ora anch’io mi sento emozionato… Anch'io, come Gabriella, Pontremoli l'ho incontrato poche volte. Ci incontravamo ogni anno a Bologna, veniva a salutarmi allo stand di Andersen, un anno venne con Alberto Melis, che ancora non conoscevo, e dunque in questo momento mi urge soprattutto dar conto di questi ricordi… Paradossalmente è proprio di questo che si tratta, non solo del riconoscimento ma anche del ricordo, perché queste persone che incontri magari una volta all'anno, anche se spesso io e Giuseppe durante l'anno ci scrivevamo, ti mancano, ti accorgi all’improvviso che non ci sono più. E allora più che parlare del suo libro, perché poi ne parleranno Octavia e Claudio - è un libro secondo me straordinario, dove c'è veramente questa compiuta straordinaria realizzazione, o meglio incontro, corrispondersi, questa continua serie di echi e di rimandi tra il testo e le immagini, un libro di grande rigore e insieme di straordinaria leggerezza non solo tra le illustrazioni e il testo ma poi anche nel progetto complessivo, nella grafica... - vorrei dirvi, dicevo, che pensando a Giuseppe mi è venuto in mente un libro, che forse lui non ha fatto in tempo a vedere, La grande domanda, un bellissimo albo illustrato di Erlbruch Wolf, dove c'è questo piccolo bambino a cui, nel giorno del suo compleanno, le cose, gli oggetti inanimati, ma anche gli animali, le professioni, gli uomini, le persone della famiglia, danno una risposta, una risposta stringata, essenziale sul senso della vita... C'è l'ironia, c'è la poesia, ci sono le cose che Giuseppe amava, ma ciò che mi ha colpito in questo libro, che me lo rende singolarmente vicino in questo momento, era la presenza della morte. Ovvero questo straordinario coraggio di introdurre in un libro per bambini, dato scandaloso - perché ai bambini queste cose vanno taciute, non sapendo invece quali e quanti bisogni e quante domande urgono dentro ad essi intorno a questo tema - la morte. Ed è una morte vestita da clown, una morte che sembra presa da un quadro di Ensor, ed è la morte che dà la risposta più bella alla grande domanda sul senso della vita, perché la morte dice che la vita vale la pena di essere vissuta, perché la vita è bella... 

   Un'ultima cosa, prendendo spunto da Rabbia Birabbia, che io da insegnante elementare leggo sempre ai miei bambini. In anni molto lontani feci una breve recensione su Andersen che mi costò, ma ne fui contento, una letteraccia di un grande editore, il quale mi rimproverava di aver parlato bene di un autore che era soltanto, ahimè, secondo lui, un imitatore modesto e ripetitivo di Scialoia. Ovviamente risposi come sono solito fare, per le rime, a questa lettera, ma ora riascoltando Rabbia Birabbia ne ho colto anche la straordinaria attualità... Perché noi, in tutti questi anni, abbiamo seguito l'invito di Pontremoli, ci siamo tenuti nelle tasche le nostre buste e in queste ultime settimane, e spero così faremo nei prossimi mesi, le stiamo finalmente aprendo*

Teresa Porcella:

Passo ora la parola a Claudio Saba...

Claudio Saba:

   L'emozione è molto alta e vorrei romperla con altri elementi, magari passando a un altro tipo di emozione, quella che mi ha preso in questi giorni di Fiera, nei primi giorni in cui sembrava, quando eravamo dall'altra parte e parlavamo di libri, che si stesse palesando l'impossibilità di continuare a farli, questi libri... C'era insieme a noi Roberto Denti, e tanti altri, e sembrava proprio che questi piccoletti, noi piccoli editori che facciamo libri con amore, probabilmente fossimo arrivati all'ultima spiaggia: ci siamo detti che questa volta veramente non ci saremo risollevati e per due giorni questo è stato il pensiero che ci ha accompagnato...

   Poi oggi c'è stata, sempre al settore internazionale, una bellissima celebrazione di Chiara Carrer, una molto brava, che probabilmente tutti voi conoscete e che ha fatto tanti bellissimi libri e tanti bellissimi libri apparentemente molto difficili da fare. Mi sono poi ricordato quando due anni fa ho incontrato Pontremoli qui, per caso, credo proprio nell'ultimo giorno della Fiera del libro per ragazzi, e tra un caffè e l'altro a un certo punto mi fa vedere una roba, e questa roba era un menabò molto grande, un formato 40 per 40, e dentro c'erano delle parole scritte in corpo 60, insomma grandissime, ed era la Ballata dei mesi. Lo guardai così, un po' costernato e gli dissi: "Giuseppe questo è un libro che noi in genere non facciamo", perché poteva sembrare il classico albo illustrato, ma le poesie erano talmente belle che me le portai a casa, e poi le ho ritrovate. Ancora dopo, dopo tutto quello che è successo, un giorno è arrivata Gabriella che mi ha detto: "Questo libro facciamolo. Perché è troppo bello." Questa cosa a dire la verità non mi ha sconvolto più di tanto, devo essere sincero, perché lavorare a un libro di libertà, a un libro di sfida, è una situazione che conosco e che conosciamo abbastanza bene; e poi, già cominciando a riflettere su questo lavoro, dopo un attimo appena capii quello che vorrei sottolineare oggi, un aspetto cioè del nostro lavoro di cui non ci si rende tanto conto e che invece per questo libro è stato molto forte.

   È bello il termine che è già è stato usato, contrappunto musicale, che effettivamente è un po' la chiave di volta nella costruzione di un libro... Nell'esperienza di questo caso specifico però, oltre che il contrappunto tra parola e immagine, tra testo immagine, c'è stato un altro elemento che di solito resta nascosto nella solitudine del proprio rapporto con la costruzione del libro, ed è molto importante. È una "paura" che si deve riuscire a vincere, la paura della pagina vuota, una paura che gli artisti conoscono benissimo e sulla quale potrebbero dire tante cose, e noi grafici anche, su un altro piano, perché è veramente terrorizzante. Il libro di Pontremoli era un libro d'incanto, di poche righe però, e quando succede una cosa del genere la tentazione di "riempire" in qualche modo la pagina  è una spinta troppo forte, che viene da una cultura che non ha capito bene cos'è l'immagine, e soprattutto viene dalla televisione: è difficile resistere alla pressione che si debbano comunque riempire le pagine, e allora il contrappunto che preferisco sottolineare in questo libro, prima di lasciar parlare Octavia, è proprio il rapporto... tra ciò che in questo libro c'è e ciò che in questo libro non c'è.

Octavia Monaco:


Io vorrei sottolineare il fatto che questo libro è nato, per quanto riguarda il mio contributo, in un clima di grande libertà e fiducia, condividendo appunto tra noi l'idea che il libro può essere "per tutti", condividendo l'idea che l'illustrazione non ha solo una funzione didascalica ma ha una funzione molto più elevata. Riguardo a questo testo devo dire che non era facilissimo illustrarlo; non volevo compromettere l'enigmaticità che il testo conservava e quindi nella mia operazione di scavo alla ricerca del non detto, ho preferito non risolvere troppo, mantenere l'atmosfera delle poesie, rispettarla, ma non risolvere per esempio la questione dei personaggi. 

Nelle ballate, nelle dodici ballate, ricorre sempre un noi che nelle mie immagini non è risolto; ho attinto all'iconografia astrologica,  ma non solo alle immagini che evocano i segni; ci sono riferimenti mitologici; ci sono dei riferimenti anche all'arte, ad esempio nel mese di marzo la sirena è la sirena invertita di Magritte; c'è un piccolo frammento dell'Allegoria del buon governo del Lorenzetti. Questo fa sì che questo libro sia un libro complesso nella lettura... Ma io con Pontremoli sicuramente condivido la fiducia riguardo la possibilità di lettura del bambino... La parola come sappiamo è metà di chi la scrive e metà di chi la legge, l'immagine anche, ha come ultimo creatore il lettore e confido sulle capacità del bambino, se guidato all'osservazione, che è fondamentale, e gli si da quindi il tempo di cogliere l'immagine, di costruire una sua relazione, anche se non coglie tutto. Questo libro ha sicuramente possibilità di lettura diverse, di approfondimento e di percezioni di contenuti diversificati secondo l'esperienza del lettore, ma confido appunto che possa essere anche in questo un libro per bambini...

Teresa Porcella:

Io chiederei a Riccardo Diana di chiudere così come abbiamo iniziato, con la lettura di un altro brano. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questa giornata, cioè il Centro servizi bibliotecari della provincia di Cagliari, il Centro di documentazione biblioteche per ragazzi, la libreria Tuttestorie e Giunti editore che ha contribuito mettendoci a disposizione Il mistero della collina. Ringrazio vivamente Gabriella Armando e tutto lo staff delle Nuove Edizioni Romane, sono stati qualcosa di più che un sostegno, perché sono stati veramente una presenza forte nella volontà di esserci e ringrazio Alberto Melis, che è stato uno degli ideatori occulti di questa giornata e che non ha voluto comparire: lo ringrazio di cuore per aver fatto un'operazione importante, che è stata quella di mettere online tutti gli scritti di Giuseppe Pontremoli, insieme a quelli a lui dedicati, e quindi di fare quello che si fa quando si vuol bene a qualcuno, tenerlo vivo e presente, anche per gli altri....


Quarta lettura, Riccardo Diana, La ballata dei mesi:

 

Gennaio

Nel mese dell'inverno, 

quando c'è freddo e gelo

 vogliamo intorno al fuoco

 far risate e canzoni

 parlare con gli amici

e dipingere il cielo 

dedicarci all' amore

non avere padroni.

Febbraio

E dopo, quando arriva

il mese ch'è del fango 

vogliamo star con gli occhi 

a seguire i canali

che sui vetri disegnano

 arabeschi di luce dedicarci all' amore

 cantare madrigali.

Marzo

Vogliamo tutto il mese 

quello di primavera 

spumeggiante di fiori

 desideri ed incanti 

riuniti insieme al fresco

 al fresco della sera

 cantare l'amore

alle ombre vaganti.

Aprile

Vogliamo quando è Pasqua 

dentro i giorni e le notti

 rotolarci nei prati

e raccontar novelle

 mentre col naso in aria 

nella sera noi tutti

 canteremo l'amore

e conteremo le stelle.

Maggio

Vogliamo che le case 

nel mese della gioia 

sian piene di colori 

e di profumi ardenti 

saluterem la luna

e il cielo che l'ingoia

canteremo l'amore

coi visi più contenti.

 

Giugno

Nel mese di aratura 

andremo incontro al sole 

ci stenderem nei prati 

a sentire gli uccelli 

vogliamo avere ancora 

soltanto una premura

 dedicarci all' amore

e sfiorarci i capelli.

Luglio

E dopo, quando arriva 

il mese ch'è del fieno

 rinfrescheremo i visi

e le membra sudate

 vogliamo poi la sera

 specchiarci al ciel sereno

 dedicarci all'amore

 rincorrendo le fate.

Agosto

Vogliamo poi nel mese 

nel mese in cui si miete

saltare negli stagni

nei laghi e nei torrenti

far compagnia alle rane 

ai pesci e nella quiete

 dedicarci all' amore 

fischiettando tra i denti.

Settembre

E quando poi arriva

 il mese ch'è ventoso

 rincorrerem colori

e godremo la brezza 

che penetra nel viso

 e ci culla il riposo

canteremo l'amore

 con chiara tenerezza.

Ottobre

Nel mese di vendemmia 

solcheremo i sentieri

 per il seme e la voce 

della nuova avventura

 faremo feste e danze

 all'oggi fatto ieri 

canteremo l'amore 

sferzando ogni paura.

Novembre

Nel mese dell'autunno 

col vino più maturo

ci prenderem per mano

 e guarderemo i campi

 vogliamo con gli sguardi

 forar la terra dura

 dedicarci all' amore

e non aver rimpianti.

Dicembre

E quando poi arriva

 il santo ultimo mese

nascosti nei mantelli

 nella neve a giocare

ci assalirà il ricordo

 delle chiare stagioni

 canteremo l'amore

 iniziando a sognare.


* si erano da poco svolte le elezioni regionali del 3 - 4 aprile 2005