Sotto il segno di Tom

rubrica Leggere negli anni verdi

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Sono nato il 24 novembre, lo stesso giorno di Carlo Collodi e Baruch Spinoza. Mio figlio è nato il 24 settembre, un giorno prima di William Faulkner. Nutrissi qualche tenerezza nei confronti delle ciarlatanerie zodiacali, avrei di che gongolare. Invece mi limito a notare le coincidenze, e gongolare ugualmente - nonché a coltivare furie liquidatorie nei confronti di chi incrementi le ricordate ciarlatanerie.

In genere mi fermo qui; oggi invece, avendo appena riletto la nuova edizione nei "Grandi libri" Garzanti della Autobiografia di Mark Twain (già uscita nel 1963 da Neri Pozza), annoto compiaciuto che Samuel Langhorne Clemens è nato il 30 novembre.

Naturalmente non dimentico che aveva ben ragione il grande grandissimo Isaac Bashevis Singer, quando diceva che i bambini non si preoccupano degli scrittori, della loro vita e delle loro intenzioni, né hanno timori reverenziali nei loro confronti; quand'anche l'abbia scritta Shakespeare, se una storia è noiosa essi la archiviano come tale. Ma io, che bambino non sono, ho molte più cautele; soprattutto, ho molto interesse anche per gli autori, per i loro percorsi, per le loro vicende. Per esempio, pensando disordinatamente ad autori che hanno scritto anche "per ragazzi", mi sembra che si possa intravedere tra l'altro una sorta di "Galleria del dolore" sulla quale si potrebbero innestare non poche riflessioni.

Silvio D'Arzo, figlio di un padre sconosciuto e di una "cartomante", morì a trentadue anni. Stevenson, tisico per tutta la vita, aveva quarantaquattro anni quando un embolo al cervello lo fermò per sempre su un'isola dei Mari del Sud. Un figlio di Kenneth Grahame si suicidò a vent'anni; anche il padre di Salgari, oltre a lui stesso, si tolse la vita; e così pure un figlio di De Amicis. Kipling da bambino venne picchiato e perseguitato da una "zia" a cui era stato affidato e una volta che sua madre andò a trovarlo e gli si avvicinò per abbracciarlo, lui alzò un braccio per difendersi dal colpo che si aspettava di ricevere; poi ebbe un figlio che morì in guerra.

Il padre di Pinin Carpi fu deportato a Mauthausen e a Gusen; suo fratello Paolo non tornò mai dal lager di Gross-Rosen. Andersen aveva undici anni quando suo padre morì; poi, brutto e diverso, inseguì sempre amori infelici. La moglie di Ted Hughes si suicidò. Una figlia di Dahl morì a sette anni, un figlio ebbe un incidente e rimase menomato; sua moglie restò paralizzata, e la storia di Roald bambino è proprio come quelle raccontate da Dickens.

Janusz Korczak venne ucciso insieme ai duecento bambini della Casa degli Orfani di Varsavia da lui diretta, nel corso della deportazione verso il campo di sterminio di Treblinka. Rushdie è condannato a morte - e dall'antro buio della sua condizione, non potendo raccontare alcunché al proprio figlio, ha scritto per lui, e per tutti noi, l'incantevole Harun e il Mar delle Storie.

Uri Orlev passò due anni nel ghetto di Varsavia; quando esso venne distrutto, la madre fu uccisa dai nazisti e Uri e il fratello vennero deportati a Bergen Belsen; e oggi Orlev ci racconta di un bambino e del suo bisogno di una "bestia d'ombra" amica, che lo soccorra perché la madre non può fare nulla contro l'arabo che lo insegue nei sogni.

 Questo elenco, incompleto e caotico, potrebbe essere forse di qualche utilità per coloro che sono sempre pronti a sdilinquirsi e immaginare roselline a proposito della co siddetta letteratura per l'infanzia e dei suoi autori. Ma si potrebbe continuare, includendo tra gli altri anche Samuel Langhorne Clemens, Mark Twain, che fu preceduto nella morte da due figlie e il cui primogenito, come racconta nella Autobiografia, "visse ventidue mesi. Fui io la causa della malattia del piccolo. Sua madre l'affidò alle mie cure e io lo portai a passeggio, per fargli prendere aria, in un calesse scoperto. Era una giornata umida e fredda, ma egli era bene avvolto in coperte e nessun danno gli sarebbe venuto se fosse stato affidato a una persona attenta. Ma io mi misi a fantasticare e mi dimenticai completamente di lui. Le coperte caddero e gli lasciarono scoperte le gambe. Dopo un po' il cocchiere se ne accorse e le riaggiustai. ma era troppo tardi. Il piccolo era quasi di ghiaccio. Mi affrettai a riportarlo a casa. Ero atterrito per quel che avevo fatto e temevo le conseguenze. Ho provato sempre vergogna per la colpevole negligenza di quella mattina e mi sono impedito di pensarci quando ho potuto. Non credo che ebbi il coraggio di confessarlo allora. È molto probabile che non l'abbia confessato mai prima d'ora."

E così eccomi a consigliare vivamente la lettura di questo libro. Intanto perché è molto divertente (in grandissima parte, sotto il segno di Tom), ma poi anche perché molte delle vicende raccontate sono episodi e personaggi narrati nelle Avventure di Tom Sawyer e nelle Avventure di Huckleberry Finn, e questo stuzzica quasi incontenibilmente a riprendere in mano quelle due meraviglie. Inoltre, dato che Mark Twain, per sua stessa ammissione, si ascoltava molto volentieri, è estremamente interessante vedere cosa volesse far sapere di sé. Essendo questa Autobiografia stata scritta e dettata in varie riprese, e pubblicata soltanto postuma, si incappa in vari registri: dal comico al malinconico al doloroso all'amaro all'ironico; ma questo, anziché configurarsi come un susseguirsi di frammenti contraddittori, fa del libro una sorta di poema sinfonico caleidoscopicamente riassuntivo.

E a me fornisce il pretesto per rilanciare un paio di ideuzze, basate su un antico amore e su di un vecchio rancore. Che Le avventure di Huckleberry Finn sia un grande capolavoro è assodato, ma io vorrei che si costituisse un Comitato degli Innamorati delle Avventure di Tom Sawyer, e che assumesse magari a proprio "manifesto" La memoria e l'idillio, la bellissima prefazione che Marisa Bulgheroni scrisse per l'edizione Garzanti di questo grande libro.

L'altra ideuzza, quella che nasce da un vecchio rancore, riguarda Gianni Celati, e consiste nel nominarlo ufficialmente, dopo diciannove anni di riflessioni, Autentico Ciarlatano. Celati è uno scrittore da me molto amato soprattutto per La banda dei sospiri, un libro degli anni Settanta ora raccolto con Le avventure di Guizzardi e Lunario del paradiso in un bellissimo libro edito da Feltrinelli, Parlamenti buffi. Nel 1979 Celati tradusse Tom Sawyer per la BUR, intenzionato a rendere anche nella nostra lingua le parlate dialettali, irregolari, storpiate di Tom, Huck, zia Polly, Joe Harper. L'esito non fu convincente, ma l'esigenza era e rimane autentica. Però Celati commise l'imperdonabile sciocchezza di scrivere una Introduzione alla sua traduzione in cui sosteneva che "del signor Mark Twain non si deve fidare: era nato sotto il segno del Sagittario, e i sagittari sono tutti doppi, imbroglioni e superficiali". Un autentico ciarlatano, il signor Celati, se non si è mai accorto che i mercuriali, fatui sagittari sono anche molto permalosi.