Ricordo di Grazia Cherchi école ottobre 1995 |
<<È
un ricordo molto bello e molto brutto, molto bello per i sentimenti
che ho provato, molto brutto per come è andata a finire>> disse
una donna a chi le chiedeva del «figlio di Bakunìn». E anch'io
potrei dire così, voglio dire così, per dire in estrema e raggelata
sintesi quel che provo al pensiero di Grazia.
Sì, userò queste parole. E le userò anche perché la crudele
ferocia di questa immonda estate ha strappato anche Sergio Atzeni, e
Joaquin Sokolowicz. Di Atzeni, oltre al già ricordato Il figlio di
Bakunìn, Sellerio 1991, voglio ricordare anche Apologo del
giudice bandito, Sellerio 1986, Il quinto passo è l'addio, Mondadori
1995, e lo splendido Araj dimoniu, uscito in due puntate nei
numeri di novembre e dicembre 1987 di «Linea d'ombra». Di Sokolowicz,
giornalista radiofonico, voglio ricordare Israeliani e palestinesi,
Garzanti 1989, oltre a diversi saggi su «Linea d'ombra», tra i
quali voglio menzionare, con particolare gratitudine e struggimento,
il Compianto per la lingua yiddish, del gennaio 1990. Grazia
non c'è più. Non c'è più la sua lucida amarezza. Non c'è più la
sua amara lucidità. Non c'è più la sua spietata ironia. Non c'è
più la sua sferzante chiarezza. Non c'è più la sua illuminante
indignazione. Non c'è più il suo appassionato discriminare. Eppure
non è così, perché quell'amarezza e quella passione e quella
chiarezza sono lì, sono qui, sono ben vive. Abitano la memoria, e ne
percorrono gli anfratti sferzando. Sono lì, sono qui, sono ben vive,
e fanno risuonare i «Quaderni piacentini», che Grazia inventò,
fondò, diresse, animò. Fanno risuonare le rubriche e i pezzulli (così
lei li chiamava sempre) che nel corso degli anni uscirono su
«Panorama», «Il Manifesto», «Linus», «Wimbledon»,
«l'Unità», «Linea d'ombra»: inviti alla lettura, consigli,
sconsigli, alleluja, gheenna. E non sono pochi coloro che per un certo
periodo comprarono «Panorama» solamente per leggere i suoi pezzi - e
poi lei se ne andò dal giornalaccio, quando arrivò un padrone più
spregevole di altri, convinta che a un padrone di tale ripugnanza e
pericolosità non si dovesse fornire alcuna copertura, convinta che si
dovessero compiere gesti molto chiari.
E fanno risuonare i suoi libri -
due solamente,
giacché tutto il suo tempo andava nell'occuparsi di quelli
degli altri -: il
romanzo Fatiche d'amore perdute, uscito presso Longanesi nel
1993, e i racconti Basta poco per sentirsi soli, ripubblicato
nei tascabili delle Edizioni e/o. E fanno risuonare anche i rapporti
con la nostra rivista. A Grazia «école» interessava poco. Le
importava però che esistesse, e gli aiuti che diede, fossero
richiesti o di sua esclusiva iniziativa, furono sempre veri. Incluse
più volte, tra i suoi selettivi consigli di lettura, due libri che
avevamo pubblicato: le Cinque lezioni sul Sessantotto e l'Ex
cattedra di Starnone.
E quando le chiedemmo di scrivere un pezzo per quella galleria di
«racconti di letture sull' infanzia e l'adolescenza» che poi Cesare
Pianciola e io raccogliemmo in Leggere gli anni verdi (e/o,
1992), parlò con passione di uno splendido racconto del suo
amatissimo Bilenchi. Poi, qualche mese fa, lei così restia a firmare
«appelli», ci fece l'enorme piacere di darci il suo nome per una
iniziativa di promozione della rivista. Sì,
quell' amara lucidità, quella lucida amarezza, quella passione,
quella chiarezza sono ben vive, vive come il bisogno che lo siano,
vive come l'arido vero della non sostituibilità. Vive nella memoria
al punto di rendere vera la frase che Joao Guimaràes Rosa pronunciò
nell'ultimo discorso della sua vita: «Le persone non muoiono, restano
incantate».
Grazia se ne è andata senza gridare. Se ne è andata con l'estremo
pudore di tacere di sé e di chiudere l'ultimo suo pezzo, su
«l'Unità», ricordando Alex Langer e le sue parole d'addio:
«Continuate
Mi piace pensare che Grazia, che tanto ha fatto per le storie e il
narrare ora sia là, vicino a tutti quelli di cui parla Jack, che
dalla collina di Spoon River racconta: <<C'è qui un cieco dalla
fronte / grande e bianca come una nuvola. / E tutti noi suonatori, dal
più grande al più umile, / scrittori di musica e narratori di
storie, / sediamo ai suoi piedi, / e lo ascoltiamo cantare della
caduta di Troia>>. |