Scriversi, per non morire dentro rubrica Leggere gli anni verdi école febbraio 1994 |
Cara
Galit, cara Mervet, per
quanti sforzi faccia per rendersi odiosa, questa grande città
dell'Italia settentrionale dalla quale scrivo mi riserva un gran
numero - incluso
quello di non chiamarmi Na'im -
di
Scrivo
a voi, Galit e Mervet, perché, a differenza di Na'im
Scrivo
a voi, Galit e Mervet, senza avere la minima idea di
Vivevate
là,
a Gerusalemme e Deheisha, e fino all'agosto
Poi,
nel 1988, accadde che Litsa Boudalika, una regista di
Avete
cominciato così, trovando subito, al primo frugare dentro voi stesse,
lo stupore e il timore, il desiderio e la paura, la speranza e la
vacillante fiducia.
Vi
siete scambiate numerose lettere, ed esse erano di volta in volta -
giacché la Storia,
inevitabilmente, ha interferito sempre nelle vostre storie - erano
di volta in volta pervase di tenerezza o durissime, aperte alla
scoperta reciproca o avviticchiate sulle proprie ragioni e i torti
altrui. Ma erano sempre, mi preme dirlo, lettere assolutamente oneste:
ed è proprio per questo che non vi siete risparmiate nemmeno i colpi
duri.
Poi,
finalmente, il 6 aprile del 1991, vi siete incontrate a Gerusalemme.
Ed è su questo vostro incontro che si chiude il bel libro curato da
Litsa Boudalika e pubblicato ora, nella traduzione italiana di Paola
Novarese, dalle Edizioni E.Elle nella collana «Ex libris»: Galit
Fink e Mervet Akram Sha'ban, Se vuoi essere mia amica, libro
che raccoglie le vostre lettere ed è introdotto da un utilissimo
profilo storico di Ariel Cohen. Su quell'incontro si chiude il libro,
e di voi qui non si sa più nulla. E però non importa, direi. Quel
che importa davvero è che avete dimostrato che parlarsi è possibile
e che, per quanto numerose e grandi possano essere le differenze, è
possibile uscire dall'astrazione del «nemico» e trovarsi di fronte
persone vere. E questa, ben più delle firme in calce a documenti
ufficiali, è l'unica strada che porti davvero in qualche posto, e
prima di tutto là dove non si muore dentro. Beninteso: in qualche
posto connotato dallo scambio autentico e dall' arricchimento
reciproco e non già dalla dialettica cieca di sottomissione e
dominio. Cara Galit, cara Mervet, siete incappate tra l'altro nella scoperta di discendere entrambe dallo stesso profeta, Ibrahim, Abraham, insomma colui che qui da noi viene chiamato Abramo. E importante questo, ma io vi suggerirei di riflettere sul fatto di avere in comune anche un altro progenitore, o fratello, o che altro non so: Giochà, Guhà, Djoha, Djukhah, insomma colui che qui da noi viene chiamato Giufà, cioè colui che - concretamente, come voi - si ribella alle convenzioni sociali. |