Festa per un amico

rubrica Leggere negli anni verdi

école dicembre 1999

                                                                                                           

Devo parlare di un amico.

Vorrei scrivere d'altro, leggere altro, fare altro, ma devo parlare di un amico.

Vorrei raccontare degli incantamenti che si trovano in La torta del diavolo di Carmen Martin Gaite, appena uscito nella sempre più bella collana "Contemporanea" di Mondadori (dove già era uscito l'ottimo Cappuccetto Rosso a Manhattan). Vorrei scrivere della attesa davvero gioiosa di Un bambino e il suo papà di David Grossman; dello squisito L'albero di qui (stessa collana Mondadori, come anche Grossman) di Chaim Potock, e ancor di più dei suoi mirabili racconti di Zebra (Garzanti). Vorrei raccontare le mille suggestioni scaturite dal denso importantissimo libro curato da Franco Cambi per le Edizioni ETS di Pisa, Itinerari nella fiaba. Autori, testi, figure. Vorrei festeggiare i settant'anni di Hans Magnus Enzensberger, e non certo soltanto per Il mago dei numeri e Ma dove sono finito? (entrambi Einaudi, che ne ha pubblicato anche i saggi di Zig zag, che istituzionalmente qui non mi competono, ma anche i rubrichisti hanno una vita privata, vivaddio). Vorrei non essere costretto a interrompere la lettura delle Lettere di compleanno di Ted Hughes (Mondadori), La signora dei porci di Laura Pariani (Rizzoli), Il mio secolo di Gunter Grass, Giudizi di valore di Pier Vincenzo Mengaldo (Einaudi) - che meraviglia di vita privata! Vorrei leggere La grande settimana (Salani) di Mario Spagnol e Paolo Bertolani, attratto soprattutto dal fatto che lo ha scritto Bertolani, grande poeta (Incertezza dei bersagli, Guanda 1976, Seinà, Einaudi 1985, E gòse, l'aia, Guanda 1988, Avéi, Garzanti 1994, Die, Diabasis 1999) ma anche eccellente narratore di un libro incredibilmente mai riproposto dopo la pubblicazione nel 1979 nelle Edizioni il Formichiere, Racconto della contea di Levante. Vorrei dire dell'uscita di un altro squisito librino di Tomi Unge rer, Cridor (Mondadori). Vorrei dire di tre bellissimi "Classici del Battello a Vapore" della Piemme: Canto di Natale di Dickens, Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde di Stevenson, e L'Antico Testamento.

E invece niente di tutto questo, perché devo parlare di un amico. Perché voglio parlare di un amico. Si chiama Alberto Melis, e lo conosco solo da qualche anno, anche se mi sembra di conoscerlo da sempre. Tempo fa, all'epoca gloriosa della gloriosa "Linea d'ombra" gloriosamente diretta da Goffredo Fofi, scrissi un pezzo sulle fiabe degli zingari. La gloriosa redazione di "Linea d'ombra" corredò l'articolo di una splendida foto di bambina, una foto entrata anni prima nell'archivio redazionale e pubblicata senza troppo preoccuparsi di informarne l'autore. Il quale però non solo esisteva, e si chiamava Alberto Melis, ma scrisse anche una lettera che Goffredo mi fece leggere. Conteneva imbarazzanti elogi a quel mio pezzo e al mio lavoro nel complesso, e raccontava la storia di quella bambina. Una storia dolorosa, finita sotto le ruote di un furgone a un incrocio cagliaritano; una storia che aveva portato l'autore di quella foto alla decisione di ritirare tutte le fotografie che aveva consegnato all"'Unione Sarda" (quotidiano cui ancora collabora) e di non farle mai più pubblicare se non in contesti che ne fossero degni. Scrissi a mia volta a Melis, e scoprii che aveva solo un paio d'anni meno di me, che faceva il maestro elementare, che leggeva all'incirca i miei stessi libri, coltivava diverse delle mie stesse passioni (gli zingari, l'ebraismo, Israele, gli scrittori israeliani, la cosiddetta letteratura per l'infanzia), aveva un passato di militanza politica libertaria. Sentii verso di lui una forte stima e soprattutto una profonda fraternité. Sentimenti ricambiati, evidentemente, se Melis decise di farmi leggere certe cose che andava scrivendo: in quel periodo un libro sugli zingari in Sardegna, intitolato La terza metà del cielo, pubblicato dalle Edizioni Gia di Cagliari con la prefazione di Giulio Angioni; successivamente i dattiloscritti di alcuni romanzi. Il primo aveva un titolo bellissimo, Bianca e la Porta nel Fumo del Fuoco sotto il Cielo di Stelle al Mattino; bellissimo, ma forse editorialmente problematico, e infatti quando le edizioni Condaghes lo pubblicarono ebbe il titolo Gli occhi del barbagianni. In seguito, oltre a una raccolta di Fiabe sarde pubblicate qualche mese fa da Giunti, Melis ha scritto altri due romanzi molto belli: Non dire di me che ho fuggito il mare e Il mio strano amico Yehoshu'a. Il primo, il cui titolo deriva da un verso di Stevenson, è ancora inedito e nel 1998 si è classificato secondo al Premio "Il Battello a Vapore-Città di Verbania"; Il mio strano amico Yehoshu'a, invece, quello stesso premio lo ha vinto nell'edizione di quest'anno e il libro sarà quindi pubblicato presto dalla Piemme. Di questi due libri non voglio però dire nulla, preferisco crogiolarmi nella felicità per la loro esistenza. E lascio allo stesso Alberto Melis il compito di dirne qualcosa riportando qui le Avvertenze che chiudono i due libri. Non dire di me che ho fuggito il mare: "Tempi, luoghi e personaggi di questa storia appartengono tutti al regno della fantasia. Non così è invece per quanto riguarda la Grande Isle sull'Oceano Atlantico, che veramente venne distrutta da un violento ciclone il 10 agosto 1856 (unica superstite una mucca), e per quanto riguarda il numero tatuato sul braccio del vecchio Isacco. L'uomo che portò realmente sul braccio quel numero fu fatto prigioniero dalle milizie fasciste, insieme a sua moglie Anna Disegni, figlia del rabbino capo di Torino, e alla loro figlia di otto anni Sissel (che in yiddish significa dolce), durante un disperato tentativo di attraversare la frontiera con la Svizzera. Venne deportato ad Auschwitz col convoglio che parti da Milano il 30 gennaio 1944 e fu uno dei pochi che sopravvisse al campo e che riuscì a tornare in Italia, contrariamente a sua moglie e a sua figlia. Il suo nome era Schulim Vogelmann, tipografo a Firenze: suo nipote Shulim, sopravvissuto di terza generazione e figlio di suo figlio Daniel [attualmente editore Giuntina], nato nel 1948 dal matrimonio con Albana Mondolfi, nel 1996 ha potuto visitare il luogo dove a suo nonno venne tatuato sul braccio il numero 173484 e dove morirono Anna Disegni e la piccola Sissel".

Il mio strano amico Yehoshu'a: "Essendo questa un'opera di fantasia, si vorranno perdona re alcune inevitabili forzature storiche. Non tanto sul piano dei tempi (essendo ormai assodato che Gesù di Nazareth nacque con ogni probabilità nell'anno 7 a.c.), quanto nell'identificazione del Maestro di Giustizia col rabbi Josef Ben Joeser di Zereda, cosa che invece non è certa, e nella ricostruzione dell'abbandono di Gerusalemme da parte dell'etnarca Archelao, figlio di Erode il Grande: che avvenne si nell'anno 6 d.c., ma con modalità che, nonostante il racconto fattone da Giuseppe Flavio, restano a noi in gran parte sconosciute. Quanto all'ipotesi che Gesù di Nazareth fosse venuto in contatto con gli esseni di Chirbet Qumran, l'autore si è invece affidato a quanto affermato, tra gli altri, da Alfred Lapple in Von der Exegese zur Katekese [...]. A prescindere però da tutto questo, l'intenzione dell'autore è stata solo quella di immaginare l'avventura di un ragazzino di dodici anni destinato a influire tanto nella storia degli uomini e del mondo: cercando di restituire prima di tutto, attraverso gli occhi dei suoi amici Joachim e Sara, ultimi tra gli ultimi della terra, il suo grande e tenerissimo Mistero".

Shalom, Alberto, shalom alejchem.