Per Collodi, grande scrittore (non solo per Pinocchio)

rubrica Leggere negli anni verdi

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Stanno ronzando alcuni libri di pregio e interesse notevoli, ai quali sarà opportuno dedicare attenzioni adeguate in una prossima occasione.

Penso per esempio a La via di Truccasia (Mondadori) di Russell Hoban, uno scrittore di cui ho appena riletto Il topo e suo figlio, che mi si è ancora una volta confermato come uno dei libri davvero preziosi e necessari. Mi riferisco poi a Benjamin Tammuz e al suo Il re dormiva quattro volte al giorno (Edizioni e/ o), il cui prologo ho subito inserito nella mia Bibbia personale: "Mi sembra che dopo aver letto questo libro, molte cose vi saranno meno chiare di adesso, e il numero delle domande sarà il doppio di quello delle risposte. Infatti l'interesse del libro consiste nel fare domande e nell'essere sufficientemente intelligente da capire che ci sono non una ma almeno due risposte, e che tutte e due sono incerte".

Mi riferisco a Hans Magnus Enzensberger, con Ma dove sono finito? (Einaudi), in cui il Roberto già felicemente conosciuto in Il mago dei numeri (Einaudi 1997) ricompare alle prese con il tempo e la Storia (ma di Enzensberger sarà opportuno anche rileggere, o leggere per la prima volta, le riedizioni di due libri belli e importanti come Politica e crimine, Bollati Boringhieri, e Questioni di dettaglio (e/o).

Penso all'edizione di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll illustrata dal grande Emanuele Luzzati per le Edizioni Nuages. Mi riferisco a Flix (Mondadori), di Tomi Ungerer, un bellissimo librino di grande utilità per la vista e per l'intelligenza, per l'apertura mentale; e sempre più mi convinco che tra i libri imprescindibili per ogni età ci sia anche l'inesistente titolo di Tutte le opere di Ungerer (medesimo discorso vale per il grande Maurice Sendak).

Penso al monumentale I libri della giungla e altri racconti di animali, di Kipling, curato da Ottavio Fatica per i "Millenni" di Einaudi. Mi riferisco anche a un Pinocchio molto bello, illustrato da Cecco Mariniello per i "Classici del Battello a Vapore" della Piemme. Come è caratteristica della collana, anche questo Pinocchio è corredato di fotografie, stampe, disegni, didascalie che accompagnano il testo; in questo caso esse hanno un valore particolare, essendo state redatte da Laura Cangemi con la consulenza di Fernando Tempesti, un grande - e forse il più appassionante - studioso di Pinocchio e di Collodi. Dello stesso Tempesti rimangono però insuperate le note che accompagnano l'edizione di Pnocchio da lui curata per Feltrinelli.

Ma qui oggi voglio soprattutto ricordare un'altra bravissima studiosa di Pinocchio, che ha curato per le Edizioni Ediesse di Roma una diversa edizione del grande libro di Collodi. Si tratta di Daniela Marcheschi di cui bisogna leggere assolutamente Collodi ritrovato (ETS Editrice, Pisa 1990), ottima curatrice delle Opere di Collodi nei "Meridiani" Mondadori, che ha pubblicato presso Ediesse un Pinocchio seguìto da un'altra importante ma generalmente trascurata storia di Collodi, Pipì, o lo scimmiottino color di rosa. È questo un romanzo che andrebbe letto parallelamente al suo fratello inarrivabilmente maggiore, di esso essendo sviluppo e parodia. Scrive Daniela Marcheschi nella bella Introduzione: "Una fitta rete di allusioni intertestuali facilmente individuabili, chiare riprese, variazioni, parallelismi, rovesciamenti, parodia: è così che si snoda la storia di Pipì, i cui ritmi non hanno niente da invidiare a quelli delle pagine meglio riuscite di Collodi. Sembra quasi che egli ripercorra a ritroso alcuni episodi delle Avventure di Pinocchio, ne riusi sul piano narrativo le funzioni, ma sistematicamente ribaltandone i primitivi significati. In tal modo instaura un trasparente rapporto di complicità. con i suoi lettori, ne sollecita la memoria; ed è proprio l'esibizione dei meccanismi compositivi, mai gratuita ma finalizzata al potenziamento ironico del testo, a rendere ancora più sapida la parodia dei casi di Pinocchio". E conclude sottolineando "come i due romanzi collodiani siano accomunati da una veste in qualche modo didattico-pedagogica che, tuttavia, non giunge a soffocare lo spirito libertario del primitivo nucleo avventuroso generatore del racconto. Si tratta degli effetti dei giochi incrociati della parodia, ma in Pipì è lo stesso principio concettuale di partenza ad essere proficuamente e apertamente capovolto: lo scimmiottino non deve imitare gli uomini, non deve somigliare a loro, pena lo snaturamento di se stesso e della propria più autentica natura. Pertanto, in un simile divieto che si oppone costantemente e specularmente all'altro - Pinocchio deve diventare un ragazzino serio e studioso, Pipì deve rimanere un animale - sta l'efficacia dell'opera collodiana, che sembra adesso ripercorrere le proprie orme come per riconoscersi e meglio definirsi nella gioia dell'accettazione delle pulsioni anticonformiste che la attraversano".

Quel che dispiace di questo bel libro è che in esso i due romanzi collodiani non siano accompagnati da un apparato di note identico o analogo a quello che la stessa Daniela Marcheschi ha scritto per il già ricordato "Meridiano". La causa andrà probabilmente cercata in qualche ragione di natura editorial-industriale, l'effetto è l'occasione perduta di fare di un bellissimo libro anche un ottimo strumento. E comunque si tratta di un bellissimo libro.