Porte e polvere magica rubrica Leggere negli anni verdi école 1995 (?) |
A
un certo punto mi è venuto il dubbio di essere alla ricerca della
polvere magica di cui parla Afanasjev in Il latte di belva, una
delle sue Antiche fiabe russe (Einaudi). In quella fiaba la
perfida moglie supplica il principe - con la speranza che finalmente
soccomba, dopo essere riuscito a procurarsi latte di lupa,
d'arsa e di leonessa -
di
In realtà le porte che ho dovuto varcare sono state soltanto sette, e
immettevano in altrettante librerie dalle quali continuavo a uscire
senza esser riuscito a trovare quel che andavo cercando. Cercavo un
libro di cui volevo parlare in questa puntata della rubrica, e devo
dire che quel Grande Scocciatore che è la mia Rondine dell'Anima (per
chi si fosse perduto le puntate precedenti, e trovasse oscuro il
personaggio, dirò che il riferimento è a Bernardo Atxaga, Memorie
di lilla mucca, Piemme, e a Michal Snunit, La rondine
dell'anima, Mursia) è stato davvero irremovibile, convincendomi
ogni volta a non desistere nella ricerca. lo dicevo: Basta, lascio
perdere Bialik. Posso scrivere di Concerto da marciapiede, di
Peter Hartling (E. Elle): è un libro molto bello. Potrei anzi
scrivere un pezzo complessivo su Hartling, ripescando anche il suo Piccolo
amore (Nuove Edizioni Romane 1993) e i tre racconti La nonna. Grigo.
Teo scappa di casa (Bruno Mondadori 1990). Oppure potrei scrivere
di Il volo della Grande Luna (Vallardi), ultimo romanzo della
trilogia della «Grande Luna» di Pinin Carpi. Potrei scrivere de L'inventore
di sogni, di Ian McEwan (Einaudi). Potrei cantare intorno alle
filastrocche di La casa del sonno, di Anna e Antonio Faeti (Bompiani).
Oppure potrei smettere di varcare tutte queste porte e scegliere
invece La porta di José Fanha (Salani): perché una porta così
potrà avere poi accanto nient'altro che una casa come quella di cui
parlava André Frénaud in una poesia di Non c'è paradiso (traduzione
di Giorgio Caproni, Rizzoli 1971: chi mai lo ristamperà?): «L'ho
proferita in pietre asciutte, la mia casa, / perché i gattini ci
nascano, nella mia casa, (...)/ Perché i bimbi ci giochino con
nessuno, / voglio dir col vento caldo, con gli ippocastani.// Per
questo non c'è tetto sulla mia casa, / né tu né io nella mia casa,/
né schiavi, né padroni, né ragioni, / né statue, né palpebre, né
la paura, / né armi, né lacrime, né la religione, / né alberi, né
spesse mura, né altro se non per ridere.» E in essa, come nel libro
di Fanha, si potrà forse trovare anche una «macchina per non fare
niente», con la quale imparare «come è bello non far niente, o
meglio, come è bello far tutto E
invece no, il Grande Scocciatore è stato irremovibile. Sì, è stato
irremovibile, e m'ha convinto a cercare Bialik fino a trovario. Come
sempre, aveva ragione lui. Infatti gli undici racconti di Hayim Naham
Bialik, tradotti da Gaio Sciloni e pubblicati da Stampa Alternativa
con le illustrazioni di Nachum Gutman sotto il titolo Leggende del
re Salomone formano un libro importante. Bialik nacque nel 1873 in
Volinia, visse a Odessa, a Berlino, in Polonia, poi, dal 1924, a Tel
Aviv. Morì a Vienna, dove si era recato per un intervento chirurgico,
nel 1934. Due anni fa, edito da Il Melangolo, è uscito in italiano lo
straziante e bellissimo poema Nella città del massacro: dispiace
che non sia stato citato nella nota bibliografica dal curatore, Gaio
Sciloni, del quale mi piace ricordare che ha tradotto anche libri
straordinari come Vedi alla voce: amore e Il vento giallo di
David Grossman e Cinque stagioni e Il signor Mani di
Abraham Yehoshua. Nelle
Leggende del re Salomone Bialik ha raccolto e riscritto storie
della cultura ebraica nel tentativo di tenere ben viva una memoria e
immetterla con tutta la sua forza in una lingua rinnovata. Tra tutte
queste storie, voglio fare un cenno particolare a due di esse. Una è
la Leggenda del tre e del quattro, che si conclude con due
stupendi versetti dei Proverbi: «Tre cose mi stupiscono e non
le posso capire/ e quattro cose non so: / la via dell'aquila in cielo,
/ la via del serpente sulla roccia, la via della nave nel mare /
e la via dell'uomo nella donna». L'altra è Il latte di leonessa. Una
storia che ha vari elementi in comune con la fiaba di Afanasjev
ricordata all'inizio, ma un diverso sviluppo, con una bella
discussione tra le varie parti del corpo su quale tra esse abbia
maggiore valore.
Ma forse la principale ragione per cui voglio ricordarla qui è che
essa, ancora diversamente sviluppata, è stata raccontata da Isaac
B.Singer in Mazel e Shlimazel ovvero Il latte della leonessa (Longanesi
1971: introvabile; cosa aspetta Salani per riproporlo?). Senza dovermi
alzare, mi volto appena e riprendo in mano il libro di Singer, mi
emoziono ancora una volta. Lo ripongo e gli metto vicino il libro di
Bialik. Smetto di scrivere.
Giacoma Limentani è lì. Rileggerò Gli uomini del Libro (Adelphi
1975) e Il vizio del faraone (Stampatori 1980). E mi viene da
pensare che potrei rimettermi a scrivere solo quando potrò annunciare
che questi
Post scriptum. Forse
il Grande Scocciatore ha insistito tanto anche perché voleva darmi la
possibilità di pensare a un altro Salomone, e precisamente a quello
che eroicamente dirige questa rivista. Direttore Salomone,
come è possibile che nella |